a cura di Manuela MARINELLI

Settembre 2017

CARATTERI ORIGINALI

IL LATTE VERSATO

rieti

Lo stravolgimento del Bel Paese è fenomeno che viene da lontano e che ha ormai raggiunto il limite di non ritorno. Tutto è cambiato. I bambini non vanno più a letto dopo Carosello, che non esiste più, così come non esiste più quell’universo di valori in cui ci siamo formati. Forse la decrescita felice, di cui parla papa Francesco nell’enciclica “Laudato si”, salverà i brandelli del mondo scomparso, ma, in quest’estate di canicola africana, riarsa e incendiata, i cambiamenti climatici sembrano prefigurare valenze apocalittiche.La politica non è più in grado di comporre gli interessi in campo, determinati dall’economia globalizzata che detiene un potere smisurato, capace di conquistare il consenso mediante l’anestesia consumistica delle coscienze collettive. La modernità ha portato in Occidente benessere e comodità, progressi nelle scienze e nella medicina, ma molto abbiamo perduto e la valutazione costi/benefici non sempre appare positiva. Scelte che in passato sono sembrate innovative e migliorative, appaiono oggi dissennate e improvvide, e anche Rieti non è stata risparmiata. Anche qui le scelte iniziano agli esordi della modernità e sono state adottate alternativamente da governi di ogni schieramento, tutti accomunati da mancanza di sensibilità per il patrimonio edilizio storico, scarsa consapevolezza dei caratteri originali del luogo e della sua vocazione produttiva. Così sono iniziati una serie di interventi che hanno dilapidato quanto ereditato.

Per costruire la stazione ferroviaria, il Palazzo degli Studi e le case popolari di Porta d’Arce, era necessario abbattere la cinta muraria? I bastioni di Porta Cintia dovevano necessariamente essere demoliti? I fornici di Porta d’Arce, erano così indispensabili? La lottizzazione dell’ “Isola di Fiume de’ Nobili” non poteva essere realizzata dando vita ad un quartiere che rispondesse effettivamente alla denominazione di “Città giardino”? La Cavatella del Borgo e il tratto urbano del Cantaro,non potevano essere regolamentati mantenendo la caratteristica di Rieti città d’acque? L’urbanizzazione di viale Maraini avrebbe potuto essere meno intensiva? Dopo la chiusura dello zuccherificio, splendido esempio di archeologia industriale, oltre che emblema di una Rieti ricca e operosa, si sarebbe potuto concentrare in quell’area lo sviluppo urbano, restaurando lo stabilimento e realizzando un quartiere nel verde? A Campoloniano si poteva urbanizzare senza distruggere tutta la rete dei canali che azionavano i mulini? Non si poteva realizzare un quartiere meno intensivo, valorizzando le sorgenti del Cantaro, dette “Bollica” per il loro gorgogliare simile al sobbollire di una pentola? Non si potevano rispettare le splendide querce che punteggiavano i prati, creando residenze immerse nella frescura della vegetazione e delle acque?

Prima di creare nuove urbanizzazioni, non sarebbe stato meglio ristrutturare il centro storico creando abitazioni adeguate ai più moderni criteri edilizi?

Molto latte è stato versato. Ma non tutto. Salviamo il salvabile?

Manuela Marinelli

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