di Massimo Palozzi - La notizia in realtà è una non notizia, perché non è la prima volta che accade e non sarà nemmeno l’ultima. Giovedì la sezione reatina della Lilt (Lega italiana per la lotta contro i tumori) ha donato alla Mensa Santa Chiara un grosso lotto di bottiglie di olio extra vergine di oliva. La consegna è stata effettuata dal presidente della Lilt Enrico Zepponi alla responsabile della mensa Stefania Marinetti Balloni e segue un evento analogo avvenuto lo scorso 22 settembre. “Siamo lieti di fare quanto possiamo a favore di un’Associazione che da anni fa del suo meglio a favore di chi ha veramente bisogno, fornendo complessivamente oltre duecento pasti al giorno”, ha commentato Zepponi senza tralasciare un accenno alla precaria situazione della mensa che “sta vivendo un momento molto difficile, diremmo addirittura drammatico, visto che è costretta ad operare in una struttura non certo ottimale. Abbiamo la speranza che il nostro dono possa essere di buon auspicio”.
Se sarà stato di buon auspicio sarà il tempo a dirlo. Certo è di indubbia utilità, come sottolineato dalla presidente Marinetti Balloni nel ringraziare “vivamente la Lilt per il suo gesto generoso anche a nome dei volontari e soprattutto degli assistiti dalla nostra Mensa. Effettivamente stiamo attraversando un momento di estrema difficoltà che mi auguro possa essere superato non appena possibile, per non lasciare senza il minimo sostegno vitale centinaia di famiglie”. Ecco, appunto.
Appena otto mesi fa la stessa Marinetti Balloni accoglieva con pari riconoscenza la donazione di olio da parte della Lilt, sottolineandone l’importanza con la forza contundente dei numeri: “ogni singolo aiuto ci è prezioso perché la Mensa nel periodo della pandemia aveva visto scendere il numero degli ospiti da 210 a 80-90 giornalieri e ora, data la situazione economica generale, è tornato a crescere fino a 150. Lo stesso sta avvenendo anche per l’assistenza alle famiglie che erano arrivate a 650 in tutta la provincia. Attualmente si è aggiunta una forte richiesta di interventi finanziari per il pagamento delle bollette”.
Dai 150 pasti di settembre si è insomma superata la soglia dei duecento, segno di un declino all’apparenza strutturale delle possibilità economiche dei reatini (intesi in senso lato, considerando la composizione variegata ed eterogenea della popolazione assistita).
In quest’ottica la stessa solidarietà interassociativa potrebbe addirittura disorientare, nel senso che, quando un’associazione filantropica distoglie parte delle risorse dai propri scopi statutari per destinarle alle attività gestite da un altro ente caritatevole, dovrebbe suonare un campanello d’allarme. Ovviamente non nella testa dei protagonisti di questi straordinari gesti di altruismo, che meritano il plauso e l’incoraggiamento da parte di tutti. Piuttosto nei progetti di chi gestisce la cosa pubblica ai vari livelli di competenza.
Detta in maniera più brutale, se la Lilt fa una donazione alla Mensa Santa Chiara si priva di risorse nella lotta contro il cancro. Fa una cosa bellissima, ma sembra una partita di giro dove il saldo è sempre lo stesso. Invece questo saldo andrebbe incrementato con politiche mirate al superamento del disagio sociale, così da non costringere i volontari alla reciproca beneficenza.
La sistemazione logistica della Mensa Santa Chiara è solo una delle problematiche aperte. L’accoglienza stabile e strutturata verso chi si trova di fronte a difficoltà abitative è ad esempio un altro dei temi ricorrenti sui quali le pubbliche amministrazioni locali arrancano inseguendo soluzioni mai definitive.
Perfino la spettacolare operazione di bonifica sotto ponte Cavallotti conclusa mercoledì in collaborazione tra Comune, Asm e Questura risponde alla stessa idea (sbagliata) di intervenire quando il bubbone è scoppiato. In effetti non si sarebbe dovuto consentire che al riparo dell’arco del vecchio ponte sul Velino e della fitta vegetazione lasciata nell’incuria più totale nascesse un vero e proprio accampamento utilizzato dai nigeriani come base di spaccio. Perché Rieti non è una megalopoli e perché ai roboanti nomi affibbiati alle deleghe assessorili dovrebbe corrispondere un controllo del territorio più accorto e tempestivo. E quando le forze o semplicemente le competenze esulano dalle possibilità di un ente, dovrebbe attivarsi immediatamente una rete di sorveglianza per intervenire con iniziative mirate a stroncare sul nascere fenomeni potenzialmente incontrollabili.
La recente proliferazione della micro (si fa per dire) criminalità è anche figlia di una disattenzione generale e diffusa, generata dall’ormai falso mito della città di provincia dove non succede mai niente. Non è il caso di allarmare la gente più del necessario, però bisogna prendere consapevolezza che la crisi economica e la difficile gestione dell’emigrazione sono alla base del moltiplicarsi dei reati e che l’insicurezza, anche solo quella percepita, può diventare un fattore destabilizzante.
Ben vengano quindi le riunioni per decidere di installare qualche telecamera, ma non sta lì la soluzione. Occorre prontezza nelle reazioni ma soprattutto un’opera di prevenzione da parte di tutti, istituzioni in testa. Finora invece si è intervenuti sempre in ritardo e di fatto per porre rimedio allo status quo lasciato lentamente sedimentare. È tempo di rivedere la strategia: tanto di contrasto al crimine, quanto di creazione delle condizioni migliori per cittadini e imprenditori che vogliono vivere e far vivere la città come merita e senza paure.
14–05-2023