a cura di Massimo Palozzi

Ottobre 2022

IL DOMENICALE

MAFIE E DINTORNI

città, sicurezza, società

di Massimo Palozzi - Venerdì sono stati presentati il VI e VII Rapporto “Mafie nel Lazio”, elaborati dall’Osservatorio per la Sicurezza e la legalità della Regione per offrire una ricognizione aggiornata del livello della minaccia mafiosa in un contesto storicamente poco interessato dal problema. In oltre duecento pagine, il volume che li raccoglie contiene un excursus rigoroso e documentato delle principali inchieste giudiziarie sulle organizzazioni criminali condotte nel Lazio tra il 2020 e il primo semestre del 2022. Di pagina in pagina emerge “una molteplicità di forme criminali che ormai caratterizza il contesto laziale, rendendolo unico rispetto ad altre regioni non a tradizionale presenza mafiosa”. Parola del presidente dell’Osservatorio Gianpiero Cioffredi, a parere del quale siamo di fronte ad un nuovo “modello mafioso” in grado di produrre un inquietante effetto emulativo sulle altre organizzazioni operanti nell’area.

Stando ai risultati della ricerca, quello laziale si configura come un vero e proprio “laboratorio”, capace di generare “forme ibride” di malavita tramite la fusione di componenti riconducibili alle mafie classiche con la criminalità organizzata soprattutto romana. Ovviamente la Capitale costituisce il principale centro di interessi dell’imprenditoria delinquenziale. Nel resto della regione il Rapporto delinea comunque un movimento che negli ultimi due anni e mezzo conferma una sorta di spartizione del territorio tra i principali sodalizi criminali: la camorra stanziata per contiguità geografica nelle province del sud, Latina e Frosinone, e la ‘ndrangheta calabrese che è riuscita invece ad infiltrarsi a Viterbo e Rieti secondo una consolidata strategia di penetrazione nel tessuto produttivo sia in Italia che all’estero.

A questo proposito occorre una precisazione rispetto ad un abbaglio piuttosto clamoroso. Lo studio mette infatti in luce come le ramificazioni ‘ndranghetiste abbiano raggiunto la provincia di Rieti citando in particolare il caso di Capena dove, secondo quanto emerso dalle indagini, i clan avrebbero fatto numerosi investimenti nei settori immobiliare e del commercio alimentare. Capena, in realtà, è un comune della città metropolitana di Roma, ancorché vicinissimo alla Sabina reatina. Ciò detto, si tratta evidentemente di un dettaglio che non sposta di un millimetro la portata del fenomeno per quanto riguarda il nostro comprensorio, sempre più esposto a pressioni di carattere illegale. Il riciclaggio del denaro sporco è del resto importante quanto la raccolta dei capitali attraverso le attività criminali, all’interno delle quali il traffico di droga si conferma il vero core business.

Nel 2021 nel Lazio sono stati sequestrati 7.180 chili di sostanze stupefacenti, tra cui oltre 519 chili di cocaina e 140 di eroina. Le forze dell’ordine sono riuscite a rintracciare anche 13 tonnellate di piante di cannabis e quasi 8mila dosi di droghe sintetiche, arrestando 3.579 persone. Tra il 2019 e il 2021 gli indagati per associazione a delinquere di stampo mafioso sono stati 544 e 1.992 quelli per reati aggravati dal metodo mafioso, con poco meno di 6mila indagati per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e 1.537 per corruzione. Nel 2021 sono state emesse 13 interdittive antimafia, numero praticamente raddoppiato quest’anno (25). Interessante pure l’andamento delle operazioni sospette registrate dall’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, passate da 14.329 nel 2020 a 17.236 nel 2021. Infine, tra confische e sequestri sono stati sottratti alle famiglie malavitose 5.200 immobili e 1.040 aziende.

Davanti a questi dati (piuttosto impressionanti, per la verità), il microcosmo criminale reatino sembra perdere quello spessore che da tempo sta invece alimentando un crescente allarme sociale. In realtà le cose non stanno così. Lo dimostra la riunione del Comitato provinciale per l’Ordine e la sicurezza pubblica convocata martedì in Prefettura con la partecipazione dei vertici delle forze di polizia, del sindaco e del comandante della Polizia locale del Comune di Rieti e del presidente di Ascom e Confcommercio come uditore (leggi qui). All’ordine del giorno le gravi problematiche relative al quartiere San Francesco, oggetto di un recente esposto da parte dei residenti e di ripetute segnalazioni dei titolari di esercizi pubblici  Tutte lamentele puntualmente riprese dalla stampa, insieme al resoconto delle tante operazioni di Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza messe in campo proprio per contrastare lo spaccio di droga nel centro storico (leggi il nostro precedente Domenicale).

Al termine di quello che è stato definito un articolato confronto, si è convenuto di rafforzare i controlli nel rione con attività mirate e l’implementazione del sistema di videosorveglianza, grazie anche al coinvolgimento attivo di privati e commercianti, in parallelo al lavoro avviato dal Comune per ripristinare il pieno funzionamento delle telecamere garantendo la loro necessaria manutenzione.

Accanto all’adozione di queste misure, spicca la decisione di dedicare un’attenzione particolare alla verifica della regolarità dei contratti di locazione degli immobili presenti in zona, con l’eventuale coinvolgimento della Asl per quanto di competenza. In effetti la facilità con cui i trafficanti (soprattutto nigeriani) riescono a reperire alloggi nel cuore della città agevola l’installazione di centrali per il confezionamento dello stupefacente da spacciare. Probabilmente questo aspetto è stato finora poco considerato sia sul piano dei meri controlli di polizia amministrativa, sia su quello più generale e impegnativo di rivitalizzazione del centro storico. Da tempo l’espansione urbanistica di Rieti è infatti tutta rivolta verso la periferia, pur nel pieno di una stasi demografica che a stento giustifica un simile andamento. Il risultato è il progressivo abbandono della parte antica della città che a sua volta causa due effetti deflagranti nella loro combinazione: da un lato il deperimento (e depauperamento) del patrimonio immobiliare, con danni collaterali di natura estetica e funzionale; dall’altro, la maggiore disponibilità di alloggi a buon mercato, magari precari, ma perfetti per le esigenze della malavita più o meno organizzata.

Lo spopolamento delle vie del centro da parte degli abitanti “tradizionali” è un dato oggettivo. Così come oggettiva risulta la progressiva sostituzione ad opera delle comunità di immigrati: per rendersene conto è sufficiente la lettura dei cognomi sui campanelli. Il che, sia chiaro, rappresenta una fortuna, per quanto frutto di una malinconica eterogenesi dei fini. Perché di fronte all’atavica incapacità istituzionale di rendere attraente e competitivo il centro rispetto a soluzioni basate sul mero consumo di suolo, la salvaguardia del patrimonio immobiliare dei vecchi quartieri finisce in ultima istanza affidata, loro malgrado, alle cure degli ultimi arrivati (in senso cronologico), spesso costretti a scelte commisurate a capacità di reddito piuttosto contenute. Il paradosso che tali scelte siano indirizzate verso le aree che altrove sono invece ritenute di maggior pregio (e costo) la dice lunga sulla mancanza di visione ultraventennale della politica locale nella valorizzazione del centro storico. E se questo non bastasse, il paradosso è ingigantito dalle difficoltà incontrate dagli studenti iscritti alla Sabina Universitas che, dopo l’apertura della sede a Palazzo Aluffi in via Cintia, faticano a reperire alloggi, in particolar modo nelle sue vicinanze.

Così, da una parte, il polo universitario tende a crescere, seppure in maniera un po’ disordinata: l’ultimo accordo di programma per ampliare l’offerta formativa nel periodo 2022-2024, con una dotazione di 12,6 milioni di euro erogati dal Miur, è stato siglato proprio mercoledì tra il ministro dell’Università e i rettori della Sapienza di Roma e della Tuscia di Viterbo. Sul versante opposto, la città si trova invece impreparata ad accoglierne gli utenti, mentre i pusher, beati loro, un tetto sulla testa ce l’hanno sempre assicurato.

 

23–10-2022

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