di Massimo Palozzi - L’intemerata di Confartigianato Imprese Rieti di giovedì nasce sicuramente da questioni di vecchia data, nelle quali è facile perdersi tra le ragioni di una parte e quelle dell’altra. Depurata da tutti gli aspetti conflittual-relazionali, coglie comunque un punto essenziale (e dolente) sull’identità e sulle prospettive del nostro territorio. Tanto più alla luce della rocambolesca nomina dell’assessore reatino nella giunta regionale appena varata (auguri alla prescelta Manuela Rinaldi, nome senz’altro di alto profilo uscito dal cilindro degli impronosticabili).
Il casus belli riguarda i rapporti con la Camera di Commercio, rea di aver organizzato attività di formazione “sottraendole” alle aziende private o alle associazioni imprenditoriali. L’accusa è in sostanza di concorrenza sleale, aggravata dal fatto di essere la Cciaa un ente pubblico.
Per dimostrarne la fondatezza, Confartigianato segnala il fallimento dell’operazione di accorpamento tra la Camera di Commercio reatina e quella viterbese, avvenuto due anni fa al termine di un lungo processo innescato con la riforma del 2015 attraverso un iter faticoso e accidentato, tra ricorsi, rinvii e una fase commissariale durata un anno e cinque mesi dal 27 febbraio 2020 al 27 luglio 2021.
Scrive Confartigianato: “Che la Camera di Rieti, dopo la fusione con quella di Viterbo, fosse un organo inutile era cosa nota ai più, ma che addirittura entrasse in concorrenza con le stesse organizzazioni che la governano, non poteva essere auspicabile né immaginabile. Apprendiamo dalla stampa che Riccardo Guerci, già vice presidente dell’Azienda speciale Centro Italia, braccio operativo dell’ente camerale, ha rassegnato le proprie dimissioni per insanabili contrasti con il presidente e per la scarsa democrazia con la quale vengono assunte iniziative e decisioni. Come Confartigianato non ci sorprende, anche perché Guerci, sia quando era membro di giunta della Camera di Commercio sia a titolo personale, ha condiviso le battaglie della nostra associazione per scongiurare la chiusura dell’ente camerale e per eventualmente ricorrere nelle sedi opportune contro un accorpamento che di fatto avrebbe sancito la chiusura della sede reatina”. Il riferimento è alla menzionata riforma varata otto anni fa dal governo Renzi allo scopo di ridurre i cosiddetti “enti inutili” e contenere le relative spese, un provvedimento che per Confartigianato ha inesorabilmente segnato “la sorte di quella di Rieti, ridotta a una succursale di Viterbo, priva di ogni autonomia decisionale, con un personale demotivato e ridotto al lumicino”.
Come si diceva a scuola, il comunicato dell’associazione degli artigiani pecca perché mischia le mele con le pere. Attacca cioè i vertici della Camera di Commercio per le politiche messe in atto, riconducendone i motivi all’accorpamento tra Rieti e Viterbo. Le due cose difficilmente stanno insieme sul piano logico, ancor prima che economico-finanziario. Politiche giudicate negativamente avrebbero infatti potuto essere impostate anche mantenendo l’autonomia della sede reatina, per quanto il peso degli attori locali sarebbe stato maggiormente incisivo. In questo senso, dunque, l’attrazione verso l’orbita viterbese poco sembra incidere sulle linee decisionali stabilite nella Tuscia.
La nota coglie invece una criticità vera e purtroppo diffusa quando sottolinea “la fine ingloriosa della Camera di Commercio di Rieti”. Che è la stessa di molte altre realtà, un tempo cardine di una struttura civica intesa non solo come agglomerato urbano ma come presenza istituzionale.
I tagli subiti dal territorio fanno il paio con le fusioni nelle quali il Reatino ha sempre finito per fare la parte del vassallo, dell’“assorbito”, in ultima analisi della preda ridotta a un ruolo di subalternità nonostante qualche medaglietta onorifica come la nomina di membri autoctoni all’interno degli organi direttivi.
Si tratta con tutta evidenza di un limite politico. Che non ha travolto solo Rieti (dipingerci come la Cenerentola d’Italia sarebbe riduttivo, per quanto non lontanissimo dal vero), ma che qui oltre alla perdita di opportunità ha significato il decadimento di una precisa identità territoriale.
Da tempo si ragiona sul rilancio delle aree interne. Dal ciclo di incontri promossi dalla Diocesi sotto il vescovo Pompili agli interventi di tanti rappresentanti politici, inclusi quelli dell’attuale governo, la riflessione sul recupero e lo sviluppo delle zone del Paese meno dinamiche per condizioni socio-economiche e per dotazioni infrastrutturali è aperta e vivace, scontrandosi tuttavia in concreto con operazioni meramente ragionieristiche destinate, se non al fallimento, al sicuro declino dei territori minori che finiscono così sempre più marginalizzati in una spirale di avvizzimento senza fine.
Le recentissime elezioni regionali dimostrano una volta di più come la politica sia assolutamente condizionata dai numeri. Proprio oggi il neopresidente del Lazio Francesco Rocca ha presentato la sua giunta. Nonostante le promesse della campagna elettorale, Rieti è riuscita a strappare l’agognato assessore solo per il rotto della cuffia e proprio perché non se ne poteva fare a meno. La sensazione, insomma, è che di questa terra non importi granché a nessuno, nemmeno al livello più basso della rappresentanza istituzionale. Ovviamente peccherebbe di ingenuità chi volesse ribellarsi alla forza delle cifre: con il numero di abitanti e quindi di imprese, di Pil o semplicemente di voti in grado di esprimere, il bacino provinciale ha una capacità di attrarre l’attenzione di chi gestisce il potere molto limitata. È un dato di fatto che da sempre condiziona i destini di comprensori come il nostro. Dopo il doveroso bagno di realismo, è però necessario indagare i limiti interni, a prescindere dalla forza contundente dei numeri. Scopriremmo probabilmente che la colpa non è solo della sfortuna o dei cattivoni di Roma.
12–03-2023