(di Ileana Tozzi) Nel corso dei suoi tre millenni di storia, la città si è sedimentata in una suggestiva stratificazione sullo sperone calcareo del primitivo insediamento: il visitatore interessato ad osservare l’ardito viadotto di pietra che collega il ponte romano all’arce scoprirà a fondamenta dei palazzi allineati ai bordi di via Roma le cellette degli horrea e delle tabernae allestite per immagazzinare le merci destinate alla vendita al minuto per gli abitanti del posto e per i viaggiatori che percorrevano la Salaria, accanto agli opifici ed alle botteghe medievali, proliferate durante l’età comunale, quando all’ordinato schematismo dell’insediamento di epoca romana si sovrappose un fitto reticolo di vicoli e pennine.
Nel corso del XIII secolo Rieti registrò un netto incremento demografico cui seguì un sistematico intervento di urbanizzazione.
La presenza stabile di cinque pontefici, papa Innocenzo III nel 1198, papa Onorio III nel 1219 e nel 1225, papa Gregorio IX nel 1227, nel 1232 e nel 1234, papa Niccolò IV fra il 1288 ed il 1289, infine papa Bonifacio VIII nel 1298, conferì a Rieti, ai confini fra il Patrimonio di San Pietro ed il Regno di Napoli, il rango e la dignità di una città strategicamente rilevante, meta di ambascerie e scenario di episodi di grande rilevanza storica, quali furono il matrimonio per legatos fra Costanza d’Altavilla ed Enrico VI di Hoenstaufen, le udienze concesse da papa Onorio III a San Francesco d’Assisi, l’incontro fra Gregorio IX e Federico II, la canonizzazione di San Domenico di Guzman, l’incoronazione di Carlo II d’Angiò. La presenza della curia papale non si limitò a determinare la ricostruzione e fundamentis della cattedrale, l’erezione del Palatium Domini Papae, la fioritura delle chiese e delle comunità mendicanti, ma influenzò la decisione del Comune di ridisegnare il perimetro delle mura cittadine estendendo l’area edificata nella zona pianeggiante a settentrione dell’antica arce.
Si trattò di un organico intervento urbanistico che i documenti d’archivio definiscono come «allargo» o addizione, caratterizzato dal tracciato di tre lunghe vie parallele all’antico decumano, a fianco delle quali si sarebbe progressivamente infittita la trama degli edifici inclusi all’interno della nuova e più ampia cerchia di mura munite di bastioni, porte e postierle, dai caratteristici merli a conci compatti che segnalavano l’adesione cittadina alla causa guelfa.
L’imago urbis riceve così un’impronta marcata, indelebile, destinata ad identificare Rieti come una terra murata, una città di pietra.
Il profilo delle mura duecentesche fu disegnato da est ad ovest, proteggendo per tre lati l’abitato. Il lato meridionale rimase difeso dal corso del fiume Velino, cui si aggiunse la canalizzazione delle due cavatelle che circoscrivevano i suburbi del Borgo e delle Valli.
Il fiume alimentava generosamente le attività orticole, garantiva la pesca ed il traffico mercantile, forniva energia per gli opifici urbani, come le gualchiere ed i mulini a grano e a guado. Una lingua di terra pianeggiante, limacciosa e fertilissima, si distende al di qua dell’argine fra porta Cordale e l’hortus conclusus del monastero di Santa Chiara lungo la riva destra del Velino.
Le modeste dimore dei contadini di un tempo si allineano lungo il tratto iniziale della strada, in forte pendenza, si dispongono ordinate ai lati della piazzetta dei Pozzi dominata dalle facciate distanti e maestose dei palazzi di via Garibaldi, affacciate sul dolce paesaggio fluviale.
La città è a pochi passi, ma lo spazio si dilata, il tempo sembra sospeso nella quiete serena di questo rione quasi immune dal traffico automobilistico, sigillato dai condotti voltati di via delle Canali