di Massimo Palozzi - L’ultimo annuncio in ordine di tempo risale a giovedì scorso, quando l’assessore ai Lavori pubblici Claudia Chiarinelli ha reso noto che il Comune di Rieti è stato ammesso a finanziamento per 1 milione e 800mila euro relativamente alla misura “Piano per asili nido e scuole dell’infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia”, nell’ambito della missione 4 “Istruzione e ricerca” del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza).
Secondo quanto anticipato dall’assessore, i fondi verranno investiti nella realizzazione di un nuovo asilo nido in via De Felice a Campoloniano, in un’area limitrofa alla scuola dell’infanzia “Gianni Rodari” dell’Istituto comprensivo “Alda Merini”. “Siamo al lavoro per attivare quanto prima le convenzioni con il Miur e le conseguenti procedure per l’affidamento dei lavori”, ha spiegato Chiarinelli, non mancando di ringraziare gli uffici per essere riusciti a farsi assegnare questo ulteriore importante stanziamento.
La sequela di finanziamenti ottenuti dal Comune capoluogo, come da tutti gli altri della provincia, merita un doveroso apprezzamento, sempre però tenendo presente che si tratta di risultati in qualche maniera dovuti. L’ingente quantità di denaro immesso nel circuito pubblico dal Pnrr e dalle misure a contorno deve essere infatti adeguatamente intercettata da parte degli enti di ultima istanza, senza che la buona riuscita delle relative procedure induca ad eccessi trionfalistici. Mancare questi obiettivi sarebbe del resto gravissimo, per cui va bene autoincensarsi per la mole di denaro già ricevuta o in arrivo, ma sempre nella consapevolezza che non si sta parlando di investimenti propri né frutto di autonome strategie, quanto la messa a terra di denaro dello Stato destinato alle amministrazioni periferiche per migliorare la qualità della vita dei cittadini, soprattutto dopo gli sfaceli economici causati da ultimo dalla pandemia e, in territori come il nostro, dal terremoto oltre che dalla generale e perdurante crisi economica.
Questa premessa è necessaria non certo per svilire o sottovalutare il lavoro di indirizzo della politica né quello tecnico-burocratico di dirigenti e funzionari, ma semplicemente per ricondurre nel giusto alveo le mille iniziative fiorite a seguito dei finanziamenti erogati nel contesto del Piano di ripresa e resilienza.
L’abilità di chi ha saputo pensare e redigere progetti vincenti va allora registrata alla voce successi, senza però perdere di vista la reale dimensione delle cose. Non bisogna infatti mai dimenticare che quei soldi arrivano per una circostanza straordinariamente grave e non a costo zero. Sui 235 miliardi di euro di risorse complessive ottenute in sede europea, più della metà (il 52%) è sotto forma di prestito, perciò l’Italia dovrà restituirne alla Ue oltre 122. Si tratta di un ulteriore indebitamento gravante sulle già malmesse finanze nazionali, che costituisce l’ennesimo (per quanto necessario) fardello sulle generazioni future. Proprio il dispositivo finanziato con i fondi del Next Generation Eu, il poderoso piano da 750 miliardi varato come strumento della strategia per la neutralità carbonica dell’Europa da raggiungere nel 2050 e per far fronte alle difficoltà prodotte dal Covid, ha destinato all’Italia poco più di 190 miliardi di euro, suddivisi tra sovvenzioni (per una parte minoritaria, 68,9 miliardi) e, per l’appunto, prestiti per 122,6 miliardi.
Le responsabilità di governo, parlamento ed enti gestori sono quindi evidenti. Il necessario corollario a questa pioggia di denaro (in gran parte da restituire) si deve pertanto sostanziare nello sviluppo di azioni di lunga durata affinché i finanziamenti prendano corpo in investimenti utili e realmente produttivi. Perché fare cose non serve. Serve fare cose fatte bene.
Purtroppo la storia, anche recente, è piena di cose fatte male. Venerdì il presidente della Provincia Mariano Calisse ha informato di aver ricevuto rassicurazioni dal capo compartimento di Anas sul fatto che a breve saranno realizzati lavori correttivi per risolvere i gravissimi disagi causati dalla rotatoria di Borgo Santa Maria sulla Salaria. Ecco, quell’opera è un esempio evidente di una infrastruttura portata sì a compimento, ma in maniera sbagliata. Anzi addirittura con risultati paradossali, avendo contribuito in maniera determinante a creare imbottigliamenti e clamorosi rallentamenti del traffico in un punto che si voleva invece rendere più sicuro e scorrevole. A voler essere drastici si dovrebbe parlare di soldi buttati, con l’aggravante che una volta ci si lamentava per le cattedrali nel deserto, cioè opere magari grandiose per quanto di nessuna utilità concreta, mentre qui ci troviamo in presenza di una realizzazione che non solo non serve ma ha addirittura peggiorato l’esistenza di chi si trova costretto a percorrerla.
Nel migliore dei casi occorreranno ora altri denari per correggere le carenze strutturali e le inadeguatezze progettuali, mentre nulla è dato sapere sulla tipologia degli interventi messi in cantiere. Di promesse generiche ne sono state fatte tante: con tutta la buona volontà, c’è da essere diffidenti sulle soluzioni che saranno trovate e sulla loro tempestività.
Per rimanere in argomento, le gallerie di San Giovanni Reatino sono un altro caso lampante di soldi spesi male, visto che è quasi più il tempo in cui le hanno lasciate chiuse a causa dei continui lavori di manutenzione e aggiornamento, di quello nel quale sono state rese effettivamente fruibili.
Di fronte a questi precedenti nemmeno l’occhiuta vigilanza delle autorità europee potrà garantire il rispetto delle buone prassi necessarie per ogni intervento finanziato con i soldi del Pnrr, perfino il più modesto. Come dicevano i precettori di una volta agli studenti che avevano preso un bel voto, le amministrazioni pubbliche che si sono aggiudicate i finanziamenti hanno fatto solo una parte del loro dovere. La vera sfida sarà infatti indirizzare quei flussi di denaro verso opere strategiche, avendo cura di portarle a compimento presto e bene.
Riprendendo il discorso iniziale, la “Merini” di Campoloniano è ad esempio l’unica scuola dell’intera provincia ad avere una certificazione antisismica. Il dato è stato reso noto da Cittadinanzattiva a fine ottobre. Su 202 plessi scolastici nessuno, a parte la “Merini”, dispone di una certificazione in regola contro i rischi del terremoto e praticamente tutte operano in condizioni di disagio per l’incompleto adeguamento alle norme di sicurezza a salvaguardia di una popolazione studentesca che supera le 18mila unità, oltre il corpo insegnante e il personale amministrativo.
Interventi puntuali e risolutivi sono in un’ultima analisi quelli che servono per poter dire di non aver sprecato le risorse del Pnrr. Accanto alle grandi opere, saranno proprio le infrastrutture minori a costituire l’ossatura dell’Italia di domani. I soldi ci sono. I meriti reali di chi li maneggia consisteranno nell’impiegarli secondo gli arcinoti criteri di efficacia, efficienza, appropriatezza e rapidità.
06–11-2022