a cura di Ileana TOZZI

Aprile 2022

STRADA FACENDO

RIETI, CITTÀ DELLE ACQUE

acqua, città

È recente la presentazione del progetto Centro cuore blu promosso dal gruppo di ricerca interuniversitario Geoagri-Landitaly d’intesa con la Diocesi, riconoscendo a Rieti la qualifica di città delle acque. Nel quadro delle attività previste, spicca l’allestimento dell’esposizione permanente Umbilicus Italiæ vetrina del pianeta acqua nel complesso monastico di Santa Chiara, garantendone il riuso e la valorizzazione dopo il risarcimento dei guasti del terremoto.
La comunità delle Terziarie francescane nota già dal XIV secolo si costituì come congregazione monastica vincolata alla regola delle Pauperes Dominæ di Santa Chiara durante la prima età moderna, dapprima associata al monastero benedettino di Santa Margherita ma presto riconosciuta nella propria autonomia dal pontefice Eugenio IV così che alla metà del Quattrocento poterono insediarsi presso la dimora del beato Angelo Tancredi, affacciata sulla sponda destra del Velino nei pressi del convento di San Francesco.
Un secolo più tardi grazie al generoso lascito del medico Paolo Buonamici da Aspra, legato al monastero di Santa Chiara per la presenza della figlia suor Scolastica e della nipote Porzia, tra il 1570 e il 1592 la primitiva chiesa intitolata a Santo Stefano poté essere ampliata e ricostruita nelle forme attuali, assumendo il titolo della fondatrice Santa Chiara.
Il monastero, vincolato dalla clausura, si sviluppò sull’argine del Velino garantendo alle religiose ivi recluse aria e luce nella quiete del chiostro, turbata però dalla prossimità delle antiche terme dei Pozzi ormai degradate a luogo di meretricio, ben visibili dalle finestre dello stabile pure circoscritto da un’alta muraglia.
Le lamentele delle monache di Santa Chiara sollecitarono l’intervento della magistratura che decretò la chiusura definitiva degli stabili ormai degradati del balneum vetus di cui resta traccia nella via delle Canali che introduce al rione dei Pozzi.
Le pie clarisse poterono tornare a recitare il rosario passeggiando sotto le arcate del chiostro, mentre le converse coltivavano l’orto irriguo senza tema di essere distolte dalle loro occupazioni a causa del malcostume che fino ad allora si era consumato nelle stufe termali.
Rimase il Cantaro scoperto, da porta d’Arci fino all’antica porta Carceraria, in prossimità della quale aveva trovato spazio il monastero di Santa Chiara.
Parallelo al fiume ed alla via di Regno – fu questo fin dopo l’unità d’Italia il toponimo del decumano maggiore, oggi intitolato a Garibaldi – prima di essere intubato nelle condotte dell’acquedotto moderno scorreva infatti il rio del Cantaro che con le sue acque incontaminate garantiva l’approvvigionamento idrico a larga parte della città e alimentava il pulviscolo di attività economiche da cui trasse per secoli il suo sostentamento la popolazione di un intero sestiere.

(da Format mar-apr 2022)

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