a cura di Massimo Palozzi

Aprile 2023

IL DOMENICALE

RAZZISTI O RAZZIATI?

sicurezza, società

 

di Massimo Palozzi - Tre fatti all’apparenza distanti e distinti tra loro hanno caratterizzato la settimana appena trascorsa. In realtà si tratta di tre accadimenti che hanno molto in comune per raccontare quanto sia sfaccettato il tema dell’intolleranza e dell’odio razziale anche dalle nostre parti.

Domenica a Borgorose si è giocata la partita di calcio Cicolano - Monterotondo 1935, valida per la ventiduesima giornata del campionato di Prima categoria. Non la finale della Champions League, insomma, ma uno dei tanti incontri che si disputano sui campi di periferia di tutta Italia. Fa quindi specie che si sia giocata a porte chiuse per un provvedimento del prefetto di Rieti dopo gli scontri al termine della partita di andata. E fa ancora più specie che l’allenatore della squadra ospite (peraltro recidivo) sia stato sanzionato dal giudice sportivo con dieci giornate di squalifica per aver inveito contro i calciatori avversari, rivolgendo in particolare a uno di loro “espressione oltraggiosa di natura discriminatoria”. L’espressione in questione aveva come obiettivo un giocatore albanese e potrebbe costare al tecnico eretino un provvedimento ancora più pesante. Per gli elementi raccolti dalla Digos sugli insulti a sfondo razzista, rischia infatti un anno di Daspo, cioè il divieto di accedere alle manifestazioni sportive, per mano del questore.

Più o meno nelle stesse ore, e siamo al secondo episodio, sono arrivate le condanne irrogate dal tribunale nei confronti di due nigeriani che in un appartamento nel rione San Francesco avevano allestito un fiorente traffico di droga. Uno è stato condannato a 4 anni e 10 mesi di reclusione, l’altro a 3 anni e 10 mesi.

I due africani erano stati arrestati agli inizi di novembre nel corso di un’operazione della Squadra mobile di Rieti organizzata per l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di un altro loro connazionale. Facendo irruzione nell’appartamento di vicolo San Bernardino, gli agenti dell’Antidroga avevano scoperto una vera e propria centrale di spaccio frequentata da tossicodipendenti e da diversi cittadini stranieri, soprattutto nigeriani.

La notizia della sentenza è importante perché dimostra in concreto i successi delle attività di contrasto al commercio di stupefacenti, che ormai dilaga in città a un ritmo molto più elevato rispetto alle contromisure messe in atto. Il giro è gestito per lo più da bande di nigeriani i quali, dunque, non risultano particolarmente simpatici alla popolazione. Da qui a guardare con sospetto tutte le persone di colore il passo è breve, e sebbene l’equazione immigrato africano uguale spacciatore sia troppo rozza per essere accettabile, nei fatti l’effetto che si produce è proprio quello: il razzismo come reazione alla sensazione di aggressione alla propria tranquillità, oltre che ai propri beni. In una parola, razzisti perché autopercepiti come vittime di razzie.

Il problema dell’immigrazione e dell’integrazione è gigantesco. E inevitabilmente si acuisce quando comunità straniere si insediano per portare disordine con la violenza dei reati nell’equilibrio sociale che soprattutto nei piccoli centri ancora resiste. Non guardare a questo aspetto nel nome di un antirazzismo di bandiera finisce per avere ricadute devastanti, proprio nella misura in cui il messaggio che filtra viene facilmente banalizzato attraverso la contrapposizione duale: noi e loro, buoni e cattivi, dalla parte della legalità o con la delinquenza. Chiaro che, messa così, la questione si risolve facilmente, anche senza arrivare agli strafalcioni sulla “sostituzione etnica” circolati non soltanto negli ultimi giorni.

Che a Rieti i nigeriani rappresentino un grave problema sociale è sotto gli occhi di tutti. Ovviamente prima di loro il traffico di droga esisteva, così come esistevano i tossicodipendenti. Non sono quindi gli africani ad aver portato gli stupefacenti in città, però è indubbio che oggi il loro ruolo sia determinante e che il modo di agire adottato, così sfrontato e protervo, contribuisca ad alimentare una narrazione parallela in grado di suscitare forti sentimenti di repulsione per il “diverso”. È la natura umana. Ignorarlo non rimuove il problema, anzi ne diventa parte.

La sottocultura del razzismo si sconfigge allora con la controcultura dell’accoglienza che origina proprio dalla valorizzazione delle differenze. L’uguaglianza davanti alla legge, la parità di diritti e l’uniformità dei doveri sono il presupposto morale, prima ancora che giuridico, dei rapporti tra gli esseri umani, ma è solo la potenza della diversità che salva il mondo.

Per fortuna, il terzo evento della settimana si è svolto proprio nel segno della pacifica (e reciprocamente arricchente) convivenza. Venerdì si è concluso il Ramadan, che per i musulmani di tutto il mondo rappresenta uno dei momenti di maggior sacralità. Per celebrarne la fine venerdì si sono ritrovati nella moschea di via Nuova centinaia di fedeli provenienti da tutta la provincia. Alla cerimonia hanno molto opportunamente partecipato pure le massime autorità cittadine, dal prefetto al sindaco al comandante provinciale dei Carabinieri, compreso il vescovo Vito Piccinonna. Il dialogo interreligioso non è una novità e a Rieti si sostanzia di fatti concreti come la sezione del cimitero dedicata alle confessioni diverse dalla cattolica. Però è importante che non si esaurisca in un vuoto esercizio di circostanza senza vigore intellettuale.

La costanza del confronto tra le fedi rappresenta del resto la vera base per un proficuo scambio culturale e per un’integrazione che non deve mirare all’annullamento identitario ma all’accettazione e alla condivisione dei valori su cui si fonda la civiltà, qualunque significato si voglia attribuire a questa parola. È una questione complessa e come tutte le questioni complesse dovrebbe essere affrontata senza pregiudizi ideologici. A volte basterebbe solo un po’ di saggezza.

 

23–04-2023

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