La rubrica 'Rieti Misteriosa' ha una propria pagina Fb ed è proprio attraverso la conoscenza dell’interesse di questa testata per leggende e racconti orali trasmessi in famiglia, che Daniela Filippi ha deciso di scriverci.
A volte esistono...
Una porta chiusa. Un bambino che aspetta. In ascolto. Non c’è luce nel corridoio. ll fiato, il cuore, i polmoni, le viscere sono straziate dall’ansia. In primo piano, stagliata contro il suono scoppiettante del fuoco del camino, la voce cupa di mio nonno che raccontava storie della sua giovinezza passata. Premetto, sono nata in un piccolo paese della Sabina, Casaprota, paese ricco di storia e di fatti soprannaturali, pulsore della vita vissuta nello sviluppo dell’identità culturale sia antica che moderna. Affonda qui le radici la mia volontà nel raccontarvi questa storia, a noi narrata da mio nonno: ogni parola accompagnata da un lieve pallore. Paura? Un brivido sulla schiena e in noi lo stupore del racconto.
“Nonno Peppino” (all’anagrafe Giuseppe 1901 Casaprota), finita la guerra d’Africa tornò al suo paese nativo. Era bello, un giovane che tutte le ragazze del paese corteggiavano. Il suo cuore era però di una ragazza di Montenero e tutti i giorni, a piedi, attraverso una strada mulattiera, andava a trovare il suo amore. In una fredda mattina d’inverno, ancora prima che sorgesse il sole, percorrendo quella strada gelata dalla brina mattutina e circondato dal silenzio e dal fruscio del vento, vide improvvisamente sul ciglio della strada seduta una bella giovinetta bionda che si massaggiava una caviglia. Si fermò preoccupato, la salutò con cortesia e le chiese cosa le fosse accaduto. La ragazza le spiegò che era scivolata ed era intirizzita per il tanto freddo. Mio nonno si tolse il cappotto, glielo mise sulle spalle, per darle calore, sopra la tunica che aveva indosso, e l’aiutò ad alzarsi chiedendole nel frattempo quale fosse il suo nome. “Bellezza Orsini” rispose lei, aggiungendo di abitare a Montenero. Lui propose allora di percorrere insieme la strada per riaccompagnarla a casa me lei lo interruppe “Tu mi hai aiutato e protetta dal freddo - disse con voce dolce - sarai protetto anche tu per sette generazioni e che la luce brilli sempre nei tuoi occhi...Prendi queste monete tienile sempre con te e sii felice per la tua strada. Io ora prendo questo altro sentiero” e nella leggera nebbia del mattino sparì.
Peppino rimase interdetto nell’udire quelle parole e fu percorso da un brivido. In mano aveva le monete e in terra era il suo cappotto. Tentò di inseguirla lungo il sentiero, mentre il sole era ormai alto, ma di quella giovinetta neanche una traccia. Chiese invano a qualche passante se conoscesse Bellezza: nessuno sapeva chi fosse. Stravolto tornò dalla sua fidanzata che percepì dal suo comportamento come qualcosa di strano fosse accaduto, sebbene non le raccontasse nulla.
Quell’amore finì come tutte le storie di gioventù e nonno Giuseppe trovò nel proprio paese natio la sua sposa. Dalla loro unione nacquero tre figli: Gino, Gerardo Giustino (mio padre).
Al primo figlio Gino piaceva molto studiare e entrò in seminario per intraprendere gli studi letterari, fu lui ad informarsi sul chi fosse la protagonista del racconto del padre e capirete l’incredulità di tutti nell’apprendere la storia di Bellezza Orsini, strega nata a Collevecchio e torturata alla Torre di Fiano, dove la poveretta, in seguito alle torture subite, si tolse la vita.
Lo stupore e la paura furono evidenti, eppure rimanevano quelle monete, reali e mai toccate. La scomparsa prematura di Gino, portò il nonno ad avere tanti brutti pensieri: dov’era la protezione promessa? E se si fosse invece trattato di una maledizione?
Una bruttissima sensazione che lo ha accompagnato e con cui ha convissuto sino alla morte avvenuta nel 1974. Ancora oggi conservo io quelle monete, rovinate dal tempo e forse custodi di un segreto. Allucinazione, fantasia, sequenza di immagini lontane di qualcosa che si è perduto e non si troverà più o testimonianze destinate a dimostrare che qualcosa al di là della luce esiste.
Un mistero che rende comunque vicino anche chi non c’è più, e attraverso il nostro pensiero ci è comunque di nuovo accanto, per donarci sempre un sorriso e la forza di vivere.
Chi era Bellezza Orsini?
Ma chi era quella giovinetta e a quale dramma era legata? E’ l’Archivio di Roma a permetterci di raccontare la sua storia “Nel 1528 Bellezza Orsini, figlia naturale di Pietro Angelo e serva degli Orsini, feudatari di Monterotondo, fu accusata di stregoneria in seguito alla fama pubblica sui suoi “malefici” con le erbe. Processata e torturata nella Rocca di Fiano Romano, finì per cedere alle accuse passando da una decisa difesa dei suoi comportamenti alla descrizione del sabba con il diavolo attorno al noce di Benevento. Alla condannata viene applicata la tortura riservata agli uomini, senza gli alleggerimenti consueti per le donne, in quanto strega. Al settimo tratto di corda Bellezza crolla a terra e confessa di essere strega, di avere insegnato la “strearia” a tantissime persone e di aver ammalato e guarito per denari. La vicenda ha un epilogo tragico. Il notaio stesso, che trascrive il verbale, la ritrova riversa a terra moribonda: sgozzatasi con un chiodo alla gola, disse che, tentata dal diavolo, si era voluta uccidere per evadere dal mondo.
L’importanza del Processo
Si tratta di uno dei primi processi scritti integralmente in volgare italiano, conservato tra le carte del Tribunale criminale del Governatore. Insieme al fascicolo del procedimento, Bellezza lascia però anche un suo documento straordinario: la confessione autografa scritta in un quaderno, dove deposita la sua testimonianza in risposta all’ultima domanda del giudice su cosa fosse la vera stregoneria. Bellezza descrive i rituali celebrati sotto al noce, gli incontri con il diavolo, le pozioni malefiche, l’organizzazione delle streghe, lasciando ai posteri un rarissimo esempio della scrittura di una ‘strea’ tra le carte giudiziarie, testimonianza di una originale concezione della stregoneria come aspirazione alla conoscenza.