Per quanto mi riguarda … io non ci credo! Già, si comincia spesso così quando si affrontano certi argomenti dai più ritenuti inverosimili ma, quella volta, qualcosa d’insolito accadde davvero.
“A Riète fa unnici mesi de friddu e unu de friscu” si dice tra il serio e il faceto e proprio perché gli inverni sono lunghi da passare... può accadere che uno stupido gioco, di quelli che si fanno quando il susseguirsi delle ore sembra così lento da farti vagheggiare che le lancette dell’orologio si siano fermate, si trasformi inaspettatamente in qualcosa di inquietante. Un pomeriggio di sabato magari, un sabato gelido e piovoso ad esempio.
Erano in tre, tre amiche adolescenti e annoiate in un fine settimana degli anni 70. Sarà stata la luce flebile della piccola lampada, sarà stato il tavolo rotondo da gioco, sarà stato il rombo dei tuoni, il bagliore dei lampi o il fruscio del vento ad ispirare una di loro... insomma, per ingannare il tempo, decisero di fare una seduta spiritica: il famoso, banale, scontato, piattino.
Prepararono un grande foglio sul quale scrissero in orizzontale e in verticale numeri e lettere, presero un piattino abbastanza grande e dettarono le regole imprescindibili per la riuscita dell’esperimento: gli indici, rigorosamente, si sarebbero potuti solo sfiorare e avrebbero reciprocamente vigilato che nessuna di loro toccasse il fondo del piattino deviandone la traiettoria. Vietato ridere, si sarebbero concentrate insieme per unire le loro energie per richiamare l’anima o le anime di non si sa chi, che si auguravano si sarebbe prestata (o prestate) a togliere loro qualche curiosità. Calò un sacro silenzio, si guardarono tra loro senza parlare, sebbene ogni tanto un sorrisetto affiorasse sulle loro labbra e venisse represso a stento. Il momento si caricò di una ansiosa attesa.
Non diremo che il piattino dopo qualche minuto cominciò a muoversi da solo perché non sembra credibile, non racconteremo che le ragazze dalle risatine infantili, che trattenevano con difficoltà all’inizio del gioco passarono a sbarrare gli occhi increduli, perché effettivamente sebbene sembri incredibile, il piattino che veniva appena sfiorato dalle dita delle ragazze, prese a muoversi rapidamente tracciando delle linee precise e sicure sul foglio, tanto che le ragazzine che ne seguivano sempre più eccitate e spaventate il percorso, appuntarono ad ogni domanda, identificata con un numero, la relativa risposta.
Via Del Porto
C’è una strada a Rieti che si chiama Via del Porto, una strada in cui quando Rieti veniva sommersa dalle acque scure del Velino in piena, venivano rimesse le barche perché quel quartiere della città, con le piene del fiume che ogni tanto esondava, diventava in parte navigabile.
Si tratta di un’antica strada della città storica e vanta la presenza di alcune cose interessanti come un palazzetto medievale molto bello, quello dei duchi di Varano, gli stessi che possiedono un castello nella vicina Terria, il castello dalle 120 stanze e... un fantasma! Quello della nobildonna dal nome dolcissimo “Primavera” che dicono protegga gli innamorati che si rivolgono a lei per difendere il loro amore contro le invidie di chi innamorato non è. Via del Porto è anche la strada sulla quale si affaccia un arco del XIII secolo che nel silenzio della notte incute un certo timore reverenziale per la sua bellezza mentre di giorno aggiunge attrattiva al bel quartiere in cui è inserito.
Una strada, Via del Porto, piena di fascino sia sopra che sotto, perché sotto Via del Porto c’è il mondo incantato dei magnifici sotterranei. Quella strada, in quel pomeriggio di tanti anni fa, divenne la meta che gli “spiriti”, richiamati dal gioco infantile, indicarono da raggiungere il giorno dopo. Ma non fu comunicata soltanto la strada ma anche il numero civico del portone di un palazzo che le ragazzine avrebbero dovuto varcare se qualcuno avesse risposto al suono dei tre colpi del battente triangolare di ottone.
La cosa più singolare di tutta questa storia era che le tre non avevano mai saputo esistesse una via chiamata Via del Porto, anzi per loro era impossibile solo concepire che potesse esistere, un porto a Rieti! Ma quando mai!
Invece appena chiesero alla mamma della ragazza che le ospitava ebbero la conferma che la strada esisteva … Allora anche le altre risposte dell’entità erano vere! Accidenti
Le cose non si erano messe proprio bene ma si sa che quando si sfidano forze occulte tutto può accadere. Alle 9 in punto del mattino avrebbero sostato sotto l’arco di Santa Lucia, per condividere una strategia comune sul da farsi.
Arrivarono insieme partendo da Viale Maraini, punto del loro incontro “Ragioneria”.
La missione
Il numero civico era memorizzato chiaro e indelebile nelle loro menti, ammesso e non concesso che esistesse davvero quel numero. Esisteva. Effettivamente indicava un antico portone. C’era davvero un battente dalla originale forma triangolare. Guardarono verso le finestre. Le persiane erano serrate, una era rotta. L’aspetto del palazzo era decisamente inquietante e nell’insieme l’edificio era decisamente malmesso. Stabilirono che sarebbero entrate se qualcuno avesse davvero aperto il portone ma c’era da decidere cosa avrebbero detto all’eventuale padrone di casa! Che diavolo ci facevano lì ? (Perché lui/lei lo avrebbe chiesto) Chi erano? (Perché lui/lei lo avrebbe chiesto) Perché avevano bussato a quella porta? (Perché lui/lei lo avrebbe chiesto) Dio, in che diavolo di situazione si sarebbero trovate! Diavolo?!
L’ostentata sicurezza della medium cominciò a vacillare... Ma oramai era troppo tardi per tirarsi indietro. Toc, Toc, Toc! Nessuna risposta. Proviamo un’altra volta... anche se il messaggio dell’entità evocata era stato chiaro: solo tre colpi.
Indecise sul da farsi cominciarono a discutere con una certa veemenza nel silenzio domenicale delle 9,15 del mattino. Con così tanta veemenza che dal palazzo di fronte si apri una persiana e apparve una vecchia signora decisamente contrariata che in dialetto urlò : “Que staete a fa? Ma guarda ste tre lece!” “Là non ce abita più nisciunu da trentanni ve pozzanu ‘ccie! Anzi mo che ce repenzu, proprio oggi trentanni fa è morta la proprietaria che era n’amica mea! Ma guarda un po’, me l’ero scordatu! Jietevene che staete a fa un casino! Anzi mo quasi quasi, se non pioe, baju a troalla a campusantu, coscì glie porto ddu’ fiori che glieli regalau a tutti li compreanni! “
Missione compiuta, pensò la medium incamminandosi con le amiche per raggiungere il viale dove, ore dopo, sarebbe cominciato l’imperdibile “struscio” domenicale.