a cura di Francesco Pasquetti

Dicembre 2020

L'AVVOCATO DEL DIAVOLO

PREVENIRE E' MEGLIO CHE CURARE (E SOPRATTUTTO COSTA MENO!) IL FIUME VELINO parte 1 –

città

(di Francesco Saverio Pasquetti) - “Chiare, fresche et dolci acque...”. Così sognava la sua Laura, il sommo Petrarca, allorché l'amata soleva bagnarsi in Valchiusa. E così, limpide e gelidissime, appaiono quelle del Velino che - con il suo corso a tratti impetuoso - accompagna Rieti nel declivio verso la conca ternana, preceduta da quella piana un tempo regno dell'omonimo lacus, poi sconfitto dalla bonifica del geniale Marco Curio Dentato.
Su di esso, a consentire il transito dal centro cittadino verso le altre zone della città, si stagliano oggi almeno cinque ponti che, con il loro passaggio, consentono di ammirarne la bellezza. In quali condizioni di manutenzione essi si trovino oggi, è un altro paio di maniche. Perlopiù pietose, senz'ombra di dubbio. E a star meglio, paradossalmente, sembrano proprio i più “anziani”, seppur con le loro magagne mai oggetto di doverosa riparazione.
Fra essi, in una valutazione meramente estetica - ciò che ci compete, in questa sede - va certo escluso il monumentale ponte Cavallotti, che con la sua struttura imponente costituisce svincolo decisivo fra zone importanti della città. Il suo apparire agli occhi dell'attento osservatore sembra immutato ed immutabile nel corso dei decenni e, ad ogni buon conto, chi ne volesse usufruire quale punto di veduta, non potrà non scorgervi un luogo privilegiato per ammirare la bella valle Oracola o, sul lato opposto, le piccole rapide che ne fanno zona d'elezione dei canoisti locali.
Le note si fanno via via più dolenti allorché si scende verso valle e si affronta il ponte Romano che, storicamente, collega via Roma ed il centro con piazza Cavour ed il borgo. Fatta saltare dalle truppe nazifasciste in ritirata, la struttura pare rimasta agli anni successivi al secondo conflitto, se si eccettuano i marciapiedi, di recente rifacimento. La balaustra - prevedibilmente in travertino, infelice materiale per una città umida e fredda come Rieti (vedasi palazzo delle poste e piazza Oberdan) - è un susseguirsi di crepe, colonnine sbeccate e colonne cinte da fermo s'acciaio, quasi a temere un improvviso cedimento. Di restauro, nemmeno a parlarne. L'asfalto è quanto di più rabberciato e lercio possa esservi in città ed esso non dà certo bella mostra di se per chi - e sono molti, vista la vicina “movida” - vi transita o vi staziona.
Altro punto dolente: l'illuminazione. I quattro candelabri a tre bracci, posizionati agli estremi del ponte, seppur monumentali e suggestivi, lasciano un'evidente quanto antiestetico cono d'ombra nella parte centrale del ponte né, immaginiamo, alcuna amministrazione ha mai pensato a rimediarvi.
Quando poi lo sguardo si posa sul ponte romano “quello vero”, lo sconforto si fa ineluttabile. Palificazione, taglio degli alberi, ripulitura degli argini, centrali idroelettriche: tanti gli interventi sul fiume, nessuno sul monumento – simbolo che testimonia la presenza dei romani e del loro genio in città. Pieno zeppo di erbacce, regno incontrastato di oche del campidoglio e germani - che su di esso nidificano (ed altro...) - l'antico ponte resiste nonostante il totale disinteresse cittadino. Fino a quando? E qui Petrarca lascia il posto al Manzoni: “Ai posteri l'ardua sentenza”.

 

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