di Massimo Palozzi - Tra le varie conseguenze dello scioglimento delle Camere e dell’indizione delle elezioni anticipate c’è pure la fine dell’inedita (per quantità) rappresentanza parlamentare di Rieti. Per uno straordinario allineamento astrale, nel marzo 2018 dalle urne uscirono ben quattro deputati espressione di altrettanti fronti, garantendo al territorio una rappresentatività in termini numerici mai vista prima e con ogni probabilità irripetibile in futuro. La contenuta offerta politica locale, unita al taglio dei parlamentari con il relativo ridisegno dei collegi, porteranno infatti Rieti nell’orbita di distretti più ampi, nel cui ambito la presenza nostrana tenderà inevitabilmente a diluirsi.
In ordine strettamente alfabetico, quattro anni e mezzo fa furono eletti Alessandro Fusacchia, Gabriele Lorenzoni, Fabio Melilli e Paolo Trancassini.
In teoria, il più “potente” del quartetto avrebbe dovuto essere Lorenzoni. Eletto a trent’anni con il Movimento Cinque stelle in virtù delle 68 preferenze ottenute alle consultazioni interne per la scelta dei candidati, Lorenzoni ha appoggiato tutti e tre i governi della legislatura: il Conte 1, il Conte 2 e quello dimissionario di Mario Draghi. Come esponente del gruppo di maggioranza relativa avrebbe avuto le possibilità maggiori di interloquire con ministri e sottosegretari, oltre che con i colleghi parlamentari e i presidenti di commissione.
Nel corso di questi anni si è fatto notare dall’opinione pubblica per l’appoggio alle diverse iniziative a favore del miglioramento delle infrastrutture viarie e della mobilità sostenibile. Certo non sono sfuggite le sue prese di posizione da molti considerate discutibili, se non inopportune o peggio, che gli sono valse la ribalta mediatica. A gennaio, ad esempio, nel Giorno della Memoria dedicato all’Olocausto pubblicò un post di pessimo gusto che accomunava i non vaccinati Covid agli ebrei sotto il nazifascismo. Più di recente è finito sotto il tiro della critica per il fastidio manifestato nei confronti dell’aiuto all’Ucraina aggredita dalla Russia guadagnandosi, a torto o a ragione, l’etichetta di filo-putiniano. Salvo infine dare una nuova sterzata rispetto alla predicazione dura e pura delle origini pentastellate, schierandosi tra i governisti che, contrariamente alla linea contiana, avrebbero voluto votare la fiducia a Draghi. Quanto abbia pesato il suo rendimento sull’opaco risultato elettorale dei grillini alle recenti amministrative è difficile dirlo. Di sicuro non ha portato in dote quel quid pluris su cui speravano gli attivisti locali per il ruolo e l’esposizione a livello nazionale.
In una condizione speculare si è invece venuto a trovare Paolo Trancassini. Anche lui alla prima esperienza parlamentare, è in realtà un politico di lungo corso. Sindaco per anni di Leonessa, ha scalato rapidamente le gerarchie del partito di Giorgia Meloni che lo ha nominato commissario regionale del Lazio di Fratelli d’Italia. Di lui si dice che sia stato il reale king maker di Daniele Sinibaldi nella sua elezione a sindaco di Rieti un mese e mezzo fa. Al contrario di Lorenzoni, Trancassini non si è mai trovato in maggioranza. Sulla prima fiducia al Conte 1 FdI si astenne, votando poi in aula i provvedimenti della Lega (ma non quelli dei Cinque stelle). Quindi all’opposizione del secondo governo Conte con il Pd e a seguire del governo Draghi. A chi volesse rimproveragli una scarsa efficacia sulle questioni più immediatamente riconducibili alla sfera provinciale, avrebbe buon gioco a replicare di non aver avuto la materiale possibilità di incidere più di tanto a causa delle oggettive condizioni politiche. Rimane comunque il ricordo di un attivismo intenso soprattutto sul fronte della spinta all’adozione di provvedimenti a tutela delle zone terremotate e delle categorie più danneggiate dalla prima ondata del Covid. In testa i ristoratori, categoria della quale è peraltro membro. Di professione fa l’avvocato, ma a Roma gestisce per tradizione familiare La Campana, rinomato locale del centro considerato addirittura il più antico ristorante della Capitale.
Tra i veterani della politica va invece annoverato Fabio Melilli, Pd, al secondo giro a Montecitorio al culmine di un cursus honorum di tutto rispetto: direttore generale dell’Anci, sindaco di Poggio Moiano per nove anni, presidente dalla Provincia per due mandati, segretario regionale del partito dal 2014 al 2018. Da tempo sostiene che la conclusione della legislatura coinciderà con la fine del suo impegno diretto in politica. Contro l’annunciato ritiro si è espressa giovedì la segreteria provinciale dem, auspicando un ripensamento. Di sicuro si è speso su diversi fronti: infrastrutture, trasporti, sanità, sisma, università, industria. Più volte in predicato di entrare nel governo, l’elezione a presidente della cruciale commissione Bilancio è stato da ultimo il riconoscimento di capacità anche di mediazione. Grazie a questo ruolo ha avuto in mano leve importanti per indirizzare scelte fondamentali per la ripresa del territorio. E da buon democristiano ha saputo muoversi con abilità tra le pieghe del potere romano, mantenendo sempre rapporti cordiali con le figure istituzionali di ogni colore.
A Rieti è stato spesso descritto come il deus ex machina del Partito democratico e dell’intero centrosinistra. In questa considerazione c’è del vero, ma si tratta di una ricostruzione parziale. Negare un suo peso a volte decisivo sarebbe puerile, ma altrettanto esagerato è tratteggiarlo come il padre-padrone in grado di decidere le sorti collettive. I movimenti politici, compresi quelli tradizionali, sono ormai destrutturati e il ricambio generazionale non è stato accompagnato dalla formazione un tempo garantita dalle “scuole” di partito. Scuole in senso proprio come in senso figurato, di militanza all’ombra di leader di riconosciuta autorevolezza. Melilli appartiene a una generazione di passaggio: l’ultimo della vecchia guardia e il primo ad affacciarsi sulla scena della politica che conta dopo gli sconquassi che hanno portato alla fine della Prima Repubblica.
In occasione delle elezioni amministrative dello scorso 12 giugno, vinte trionfalmente dalla destra al primo turno, qualcuno nelle retrovie lo ha additato a primo responsabile della sconfitta del campo progressista e della magra figura rimediata dal Pd. Un deputato alla seconda legislatura con il suo pedigree, titolare di un incarico parlamentare di primo piano, ha per definizione un grande potere nel seno del gruppo dirigente dell’area di riferimento. Ma è finita l’epoca dei burattinai, per cui un capocorrente o una cerchia ristretta di capibastone dettavano legge. La vicenda delle primarie, che dopo un lungo stallo il Pd intendeva superare proponendo alla coalizione la candidatura unitaria dell’assessore regionale Claudio Di Berardino senza passare dai gazebo, è emblematica. Né il Pd né Melilli hanno avuto la forza (ma forse nemmeno l’intenzione) di imporre la figura prescelta. Sbaglia quindi chi ha inteso leggere come una sorta di boicottaggio contro Simone Petrangeli la conduzione della successiva campagna elettorale: semplicemente la gente vota come preferisce, essendo da tempo tramontata l’adesione ideologica a un simbolo di partito. L’estrema volatilità dei flussi elettorali lo segnala in modo inequivocabile.
Il quarto della pattuglia parlamentare reatina in realtà non è stato eletto a Rieti. Alessandro Fusacchia è entrato a Montecitorio come eletto all’estero sotto le insegne di +Europa, movimento che ha successivamente abbandonato quando si è fatto governista a partire dal Conte 2. Anche per Fusacchia si è trattato di un salto in grande stile nel piano nobile delle istituzioni, lui che le istituzioni le frequenta da anni per le sue collaborazioni con personalità di primo piano, da Emma Bonino alla ministra dell’Università del governo Renzi Stefania Giannini, di cui è stato capo di gabinetto.
Viaggiando un po’ in solitaria, il suo contributo diretto alla causa sabina dai banchi della Camera è risultato giocoforza sfumato. Difficile che il reatino medio sappia indicare il portato di iniziative a lui ascrivibili, benché sia molto apprezzato il suo impegno soprattutto in ambito scolastico e universitario per battaglie come il superamento del divieto di iscrizione contemporanea a due corsi di laurea.
In realtà Fusacchia sul territorio si muove da tempo. Dapprima animando l’associazione Next Rieti, impegnata in particolare nel recupero dell’area dell’ex Snia Viscosa. Più di recente costituendo la lista Rieti in Comune in aperta contrapposizione al centrodestra, poi ripiegata su un meno ambizioso inserimento di alcuni esponenti in quella del Pd a causa della difficolta di individuare un numero sufficiente di candidati.
Questo, per sommi capi, il quadro di una legislatura eccezionale sotto parecchi punti di vista. Alla fine della fiera i nostri parlamentari avranno saputo meritarsi la riconoscenza del popolo di cui erano rappresentanti?
24–07-2022