di Massimo Palozzi - Ieri pomeriggio è stata inaugurata un’opera importante. Il cosiddetto “Parco dello Sport e del Benessere” lungo viale Dupré Theseider ha ridisegnato in maniera egregia un tratto di lungofiume abbandonato da tempo, valorizzando terreni incolti che qualche decennio fa ospitavano radi orticelli.
Peccato per l’inevitabile strumentalizzazione politica dell’evento. Il taglio del nastro a una settimana dal voto è una delle tante cadute di stile cui abbiamo dovuto assistere nelle ultime settimane, ma non bisogna commettere l’errore di focalizzare l’attenzione su questo dettaglio. L’erba curata, le panchine, gli attrezzi per il fitness, i campetti da gioco sono decisamente un bel vedere. Li si sarebbe potuti e dovuti avere prima, visto che i relativi finanziamenti risalgono all’inizio del 2017, all’epoca dell’amministrazione Petrangeli, ma anche in questo caso sembra inutile piangere sul latte versato.
L’urgenza di presentare ai reatini il lavoro fatto ha spinto finalmente la giunta in carica a concludere l’esercizio, giusto in tempo per l’appuntamento con le urne. Non il massimo dell’eleganza, ma almeno la collettività può beneficiare di un’importante opera pubblica che ha il duplice pregio di fornire ai cittadini un’area di svago e relax e di aver recuperato una porzione di città, cui è stato dato un aspetto decisamente migliore.
Con tutte le cautele del caso e senza dimenticare lentezze e ritardi, l’inaugurazione del Parco dello Sport dimostra che le cose si possono fare e pure bene. L’iter della vicenda risulta in questo senso esemplare. Un’amministrazione di centrosinistra partecipa a un bando nazionale e lo vince brillantemente, ottenendo oltre 15 milioni di finanziamento nell’ambito del progetto “Rieti 2020”. Subito dopo, le elezioni della primavera del 2017 sanciscono un cambio di colore politico ai vertici di Palazzo di Città. La novità si riflette anche sul dossier odierno. La nuova giunta capitanata da Antonio Cicchetti decide infatti di rimodulare alcuni interventi senza comunque stravolgere l’impianto complessivo del progetto, ottenendo le relative approvazioni governative. Nel frattempo partono i lavori per la sistemazione del tratto lungo il Velino, dal vecchio PalaCordoni di piazzale Leoni fin quasi all’incrocio con viale Matteucci. Da ieri l’area è finalmente fruibile. Quello che ora occorre evitare è che il Parco dello Sport rimanga un caso isolato: lo richiedono i reatini e lo impongono le condizioni in cui è scivolata la città.
Mercoledì il Siulp, sindacato autonomo più rappresentativo della Polizia, ha celebrato il suo congresso provinciale, a conclusione del quale è stato confermato segretario generale Roberto Chiavolini. Nella sua relazione introduttiva, Chiavolini ha tra l’altro auspicato “un cambio di marcia per restituire allo Stato alcune vie del centro cittadino in serio pericolo di degrado a causa del proliferare delle attività di spaccio di sostanze stupefacenti”. Chiaramente parlava da poliziotto a una platea di colleghi. Quelle parole riflettono tuttavia il disagio dell’impotenza degli addetti ai lavori di fronte a una degenerazione evidente, chiamando in causa non solo gli aspetti preventivi e repressivi di pubblica sicurezza, ma soprattutto la qualità del vivere all’interno del centro storico.
Cinque anni fa, all’epoca dell’insediamento dell’attuale giunta, l’assessore all’Urbanistica Antonio Emili legava gli interventi del piano “Rieti 2020” proprio a una “ricucitura” del cuore antico di Rieti con il resto della città. Un impegno lodevole, che allo stato non sembra purtroppo essere stato mantenuto. Al di là dei lavori di sfalcio e cura del verde che proliferano da quando è iniziata la campagna elettorale, il centro di Rieti mostra infatti un volto sempre più sofferente e precario.
In settimana ha fatto scalpore l’allarme lanciato dal Corriere di Rieti sulle condizioni di un edificio di via San Donato che affaccia su via Terenzio Varrone, chiuso per inagibilità da anni e divenuto ricettacolo di sbandati, senza fissa dimora e drogati. Giustamente i residenti non ne possono più e chiedono interventi concreti per risolvere una situazione inaccettabile. Dato il momento preelettorale, magari a quella denuncia seguirà qualche azione. Il nodo rimane però irrisolto.
La mancata attivazione dell’ascensore tra piazza Cesare Battisti e via San Pietro Martire resta forse il simbolo degli auspici non concretizzati. In realtà, sono molte le cose da sistemare di competenza comunale. Il passaggio dell’ex Banca d’Italia a nuova sede dell’Archivio di Stato, dopo la parentesi dedicata al Commissario per la ricostruzione post-terremoto, si pone una volta tanto come l’azione concreta dello Stato nei confronti di Rieti. Al contrario, l’ex mercato coperto rimane uno dei grandi cavalli di battaglia dell’amministrazione uscente in attesa di soluzione. Similmente, l’ex carcere di Santa Scolastica e l’ex caserma dei Vigili del Fuoco continuano a decadere senza che si vada oltre le buone intenzioni. Grazie ai fondi del terremoto è cominciata l’opera di recupero dell’ospedale vecchio, ma di strada ce n’è ancora tanta. Di fatto, gli unici interventi a beneficio delle vie e delle piazze del centro storico sono quelli effettuati dai privati, magari stimolati dal bonus facciate. Per il resto poco o niente da segnalare. Nemmeno la risistemazione di largo Cairoli a fianco del Flavio Vespasiano (per il quale, manco a dirlo, si sta tentando l’inaugurazione prima del voto) cambia più di tanto la situazione. Così come l’annunciato restauro della Sala degli Specchi del Circolo di Lettura dello stesso teatro in seguito all’assegnazione di un finanziamento da oltre un milione di euro, puntualmente rimandato alla prossima amministrazione.
Perfino la recente apertura della nuova sede dell’Università in via Cintia, nell’ex Comando provinciale dei Carabinieri, appare estranea alla visione d’insieme che sarebbe invece necessaria come criterio guida in un’ottica di sviluppo complessivo. Il trasferimento in centro di parte della didattica rappresenta un passaggio importantissimo ma l’appello (peraltro pieno di buon senso) lanciato alla cerimonia di inaugurazione dal presidente della Fondazione Varrone Antonio D’Onofrio ai proprietari di case di affittarle agli studenti, rende bene il senso di approssimazione generale.
Un’impresa di cosi ampio respiro non può del resto essere demandata ai privati. Al contrario, dovrebbe essere il fulcro di politiche d’inclusione difficili da rintracciare nell’attuale panorama politico: basta vedere il numero di annunci di vendita nelle strade del centro e la concentrazione sempre più marcata di cittadini stranieri.
L’immagine iconica delle condizioni in cui versa il centro storico la offre infine il palazzo di via del Burò, chiuso e sgomberato da anni perché a rischio crollo, come tanti altri in giro per Rieti. L’edificio sorge nei pressi di palazzo Javarroni, per il quale pure sono stati ottenuti i fondi regionali necessari alla riqualificazione, che l’Ater dovrà utilizzare per i relativi lavori. Quando non si sa, con il tempo che continua ad essere considerato una variabile indipendente. L’aspetto maggiormente desolante è che quel palazzo si erge dirimpetto alla Sala dei Cordari, lungo una stradina percorsa in queste settimane da tantissime persone per le varie manifestazioni elettorali, compresi i big della politica nazionale.
Sorvolando sul fatto che non basta affiggere i cartelli con l’avviso “pericolo crollo” per evitare qualche tragedia, visto che la gente continua tranquillamente a passarci sotto, se questo è lo status quo, a quali prospettive di crescita, anche solo in termini di immagine e attrattiva, si può realisticamente fare riferimento? Il quesito, nell’immediato, è per la prossima amministrazione comunale.
05–06-2022