di Francesco Saverio Pasquetti - Rieti: da ombelico del mondo - nei ricchi (apparentemente) ed opulenti anni ‘80 -a realtà in disarmo da fuggire non appena ottenuta la maturità, il passo è stato breve. Roma e l’università? Una sorta di “male necessario”, per noi nati negli anni ‘60 e cresciuti ascoltando Duran Duran, Simple Minds ed i cantautori italiani, oggi tragicamente soppiantati dall’obbrobrio “trap” e dall’effetto autotune. Traffico, disagi, caldo estivo: lo sguardo sulla Capitale si limitava ai soliti luoghi comuni che ai nostri occhi la rendevano quasi infernale.
Oggi c’è intercultura, l’erasmus, le università di tutta italia. I giovani fuggono via, letteralmente. Rieti è morente e nessuna mente brillante - men che meno i “politici” attualmente in auge - sembra in grado di invertire l’inarrestabile trend negativo. Globalizzazione, società liquida. Evidente il crollo dell’offerta lavorativa: dall’occupazione totale degli anni ‘70 alla fine del nucleo industriale. Il tutto in un amen.
Di mezzo, la scomparsa di Cassa di Risparmio e banca Popolare. Andar fuori non è più un vezzo di pochi danarosi rampolli appartenenti ad alcune famiglie dell’alta borghesia cittadina, ma una necessità, un bisogno quasi “fisico”: è in atto, da anni, un vero e proprio fenomeno migratorio giovanile.
Ma oggi, come allora, un “mantra” funesto – ripetuto fino all’ossessione fra i giovani - si è tragicamente avverato: “A Riète non ce sta còsa!”. A Rieti non c’è nulla! Ma è davvero così? O qualcuno, in questi ultimi quarant’anni, ha provato a far qualcosa o, ancor meglio, a portare qualcosa che la arricchisse e la facesse crescere, questa nostra sventurata città? Se ciò e accaduto, troppo spesso sul malcapitato “innovatore” (ancor peggio se non “indigeno”) si è levata inesorabile come una mannaia quella classica espressione, che va di pari passo con la prima, in grado di distruggere chiunque: “Oh illu!”. Sempre in prima fila a criticare la Rieti che non va, sorge immediata – dinanzi a chi avanza nuove prospettive – la scure dell’ “Oh illu! Ma que ss’è missu ‘n capu!?”. Uno strano meccanismo quasi perverso, quello che anima la nostra essenza più profonda. Un connubio infernale fra esterofilia estrema e campanilismo all’ennesima potenza. Un corto circuito che spesso lascia ai margini chi, in questa città, ci è arrivato anni fa per scelta, magari per amore oppure per lavoro: una sorta di “repulsione” che il “non indigeno” avverte immediata.
Quasi un’equazione ineluttabile. Il risultato di tale inestricabile mentalità è oggi (da anni, in verità) sotto gli occhi di tutti, impietosamente certificato dalle classifiche fra capoluoghi di provincia di fine anno: 64 esima nella classifica finale di Italia Oggi, Rieti scende 77ima per affari e lavoro. Dove eccelle, seconda, solo per i reati e la sicurezza, dietro ad Aosta. Ecco, appunto: “A Riète non succede mai còsa!”.
(Edizione Format Gen-Feb 2022)