a cura di Massimo Palozzi

Settembre 2023

IL DOMENICALE

MENSA SANTA CHIARA E UNIVERSITÀ, DUE RIAPERTURE AGLI ANTIPODI

amministrazione, politica, società, solidarietà, università

Ad essere freddi, c’è un che di surreale nella soddisfazione per la riapertura della Mensa Santa Chiara, in una sede adesso degna e soprattutto definitiva. Lunedì sera sono stati serviti i primi pasti all’interno dei rinnovati locali dell’ex Seminario in piazza Oberdan, rimessi a nuovo dopo anni di lavori seguiti ai danni del terremoto del 1996 e alla dismissione dello storico palazzo dagli antichi compiti di preparazione dei futuri preti.

Il corpaccione dell’edificio che ospitò il primo seminario dopo il cinquecentesco Concilio di Trento ora appare tirato a lucido non solo all’esterno, a conclusione di un’attenta e paziente opera di ripristino È infatti al suo interno che mostra il meglio di sé in questa nuova missione al servizio dei più svantaggiati: una moderna cucina, stoviglie appena scartate, arredi e suppellettili confortevoli.

La notizia che dopo tante tribolazioni e peregrinazioni la Mensa Santa Chiara può finalmente operare in un ambiente sano e protetto è stata accolta da un unanime senso di soddisfazione. Troppe e troppo prolungate erano state le vicissitudini patite dai volontari che con impegno e abnegazione esemplari da anni dedicano molta parte del proprio tempo alla solidarietà verso il prossimo. La sede originaria in via San Francesco aveva sempre palesato una certa inadeguatezza. Il sisma del 2016 aveva poi sancito in maniera definitiva l’inutilizzabilità dell’antico monastero di Santa Chiara, costringendo la mensa a trasferirsi dapprima al Mako, in zona Micioccoli, e poi a gestire la consegna a domicilio dei pasti preparati al convento di Fonte Colombo.

Ad annunciare la disponibilità della nuova sede per la mensa dei poveri reatina era stato il vescovo Vito Piccinonna sabato scorso durante la celebrazione per la solennità della dedicazione. Le cronache parlano di ambienti e strutture di prim’ordine. Un lavoro ben fatto per garantire non soltanto pasti caldi agli assistiti ma un’atmosfera di accoglienza importante quanto e forse più del semplice sostentamento.

In effetti non di solo refettorio si tratta. Il progetto è ben più ampio e ambizioso perché prevede la fondazione di una Casa della Carità dove ospitare gli uffici della Caritas diocesana e un polo di accoglienza comprendente il Centro d’ascolto, insieme a docce e servizi. “Non vogliamo creare un luogo in cui le persone vengono solo per sfamarsi o lavarsi”, ha dichiarato a Frontiera il direttore della Caritas don Fabrizio Borrello. “Vogliamo creare un luogo di accoglienza, uno spazio nel quale non vengano semplicemente prese in carico, ma trovino serenità. Il Seminario sarà una casa il più possibile aperta. Speriamo di stimolare un volontariato di prossimità”.

Tutto bene quel che finisce bene? Insomma. Il passo avanti verso un’assistenza alle fasce più deboli della popolazione è enorme e un plauso va rivolto a tutti gli attori che a vario titolo hanno contribuito a venire a capo di una situazione che era andata degenerando oltre la soglia dell’accettabilità. Per altro verso permane il senso di smarrimento di fronte a una realtà territoriale talmente sfilacciata da imporre l’intervento imprescindibile di un operatore come la Mensa Santa Chiara per garantire la sopravvivenza a un numero per niente esiguo di cittadini. Le cifre dei mesi scorsi parlavano di oltre duecento ospiti assistiti dai volontari della Mensa. I primi giorni dopo la riapertura si sono attestati su livelli più contenuti ma pare evidente che, con l’entrata a regime dell’attività, l’entità dei beneficiari è destinata a salire.

Il problema dell’indigenza esiste ovunque e non si sconfigge dall’oggi al domani. Va però combattuta l’idea di affrontarlo solo attraverso soluzioni meramente assistenziali. Servono politiche attive che limitino (o idealmente eradichino) la dipendenza dagli altri persino per le necessità primarie. Non è facile, ma la solidarietà e il volontariato non devono essere presi a pretesto per il disimpegno politico e istituzionale, tanto più in una realtà circoscritta come la nostra.

Il Seminario sorge in pieno centro, a poche centinaia di metri dalla sede della Sabina Universitas, altro luogo simbolo cittadino che in questa settimana si è guadagnato le luci della ribalta mediatica. Giovedì si è infatti tenuto presso il polo di Santa Lucia l’Open day organizzato per la presentazione del nuovo corso di laurea interateneo Tuscia e Sapienza in Economia dell’innovazione.

L’evento ha richiamato un parterre di notabili con il consueto contorno di commenti entusiastici degli esponenti politici locali. Motivati, per carità, ma fino a un certo punto. La sinergia tra le due università ha finora prodotto risultati apprezzabilissimi, e però la tenuta sul lungo periodo è tutta da verificare. Così come da vagliare è l’approccio verso un’idea di università diffusa, non solo nel senso di dislocazione sul territorio delle aule e dei corsi, ma proprio di organizzazione degli insegnamenti.

Di lavoro da fare ce n’è ancora molto in una città che fatica a sistematizzare la presenza universitaria e al contempo gestire casi di povertà crescente. L’aumento di corsi e iscritti è un successo, così come il recupero del patrimonio storico-architettonico di cui Palazzo Aluffi rappresenta la testimonianza migliore, in attesa di poter salutare anche il rifacimento dell’Ospedale vecchio che sarà destinato a campus universitario. Da qui a poter definire Rieti come una città universitaria però ce ne corre. Dopo la sostanziale stasi degli ultimi anni lo status quo è incoraggiante, sempre che si abbia la consapevolezza del molto che resta da costruire per consolidare Rieti come una vera realtà accademica.

 

17-09-2023

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