a cura di Ileana TOZZI

Giugno 2023

STRADA FACENDO

MANNI O CERRONI-VINCENTI MARERI? RISCOPRIAMO I PROTAGONISTI DELLA NOSTRA STORIA

storia

di Ileana Tozzi - Quante ragioni aveva, Ugo Foscolo, osservando che il tempo contende la memoria alla storia! Ne abbiamo la riprova nella cortina di oblio che cala inesorabile su Francesco Cerroni e Giacinto Vincenti Mareri, che pure furono generosi protagonisti della vita pubblica nella Rieti di metà Ottocento.

Nella persona di Francesco Cerroni si estinse il casato a cui l’araldista Romualdo Perotti de Cavalli attribuiva l’ insegna «Cerro verde in campo giallo, le sbarre turchine in campo bianco».

Già nel primo quarto del XIX secolo, l’ultimo dei Cerroni aveva venduto a Giacinto Vincenti Mareri, lungimirante Gonfaloniere ai tempi del Buongoverno pontificio, un suo palazzo adiacente alla casa degli Aligeri: in quell’area, Giuseppe Valadier avrebbe costruito il nuovo, monumentale palazzo ulteriormente ampliato nel 1849 in un progetto unitario, reso armonia nell’ampia facciata dall’alternarsi verticale delle lesene bugnate con la scansione orizzontale delle fasce marcapiano, su cui affaccia la sequenza di ampie finestre del piano nobile e dell’attico.

I monumentali portali sovrastati da loggette danno ancora accesso al giardino all’italiana con la bella fontana dedicata a Cerere, copia in terracotta di un originale romano. In seguito, il conte avrebbe fatto costruire a margine del giardino le sue scuderie, che all’origine occupavano lo spazio antistante liberalmente donato al Comune affinché vi fosse costruito il nuovo teatro.

Giacinto Vincenti Mareri fu un uomo illuminato e generoso, destinato ad una immeritata damnatio memoriæ dopo l’unità d’Italia. Basti pensare che nel 1846 si fece promotore della fondazione della prima banca cittadina, la Cassa di Risparmio che agli inizi ebbe sede proprio nelle stanze al pianterreno del palazzo Vincenti Mareri, prima di aprire i suoi sportelli nel palazzo che l’architetto Michele Chiesa da Morbio aveva costruito per i Cerroni agli inizi del XVIII secolo.

Avvicinandosi la fine, nel 1854 il conte Francesco Cerroni nominò Giacinto Vincenti Mareri suo esecutore testamentario, affidandogli l’incarico di allestire presso l’ultimo dei suoi palazzi un ospizio per i convalescenti, dimessi dall’ospedale di Sant’Antonio Abate gestito dai Chierici Ministri degli infermi ma ancora bisognosi di assistenza e cura.

Lo stabile affacciato a meridione sulla riva destra del Velino era comodo e luminoso, adatto ad accogliere per periodi più o meno lunghi coloro che avessero la necessità di rimettersi in salute. Diversa era la sorte degli anziani appartenenti alle fasce più povere della popolazione, destinati allo ptocomio, l’ospizio per gli indigenti che affiancava il monastero di Sant’Agnese.

Giacinto Vincenti Mareri, constatato che il lascito del conte Cerroni non sarebbe stato sufficiente all’impresa, decise di cofinanziare i lavori di riassetto affidati all’architetto Luigi Cleomene Petrini  che nel 1859 ricavò a fianco del palazzo la piccola, armoniosa chiesa dedicata alla Madonna del Popolo e ai Santi patroni della città, raffigurati nella tela dell’altare dipinta dal romano Giovanni Tognoli.

Sulla facciata, furono abbinate a futura memoria le insegne dei Cerroni e dei Vincenti Mareri. Un anno più tardi, quando per effetto del plebiscito indetto nelle Marche e nell’Umbria la città fu annessa al nascente Regno d’Italia, il conte Giacinto Vincenti Mareri fatalmente compromesso con il passato regime si ritirò a vita privata presso la residenza gentilizia di Casaprota. Morì a Rieti nel 1878, dimenticato da tutti, nonostante avesse ben meritato per le tante imprese promosse e finanziate per il bene della collettività.

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