di Massimo Palozzi - Domani Antonio Cicchetti compie settant’anni. Auguri sentiti a un protagonista indiscusso della storia politico-amministrativa della Rieti contemporanea, che dopo tre mandati come sindaco ha scelto di non ricandidarsi per lasciare spazio al suo vice. In effetti da mesi Daniele Sinibaldi lo sta sostituendo quasi in toto, soprattutto nelle occasioni di maggiore visibilità. L’ultima è stata l’annunciata visita del ministro degli Affari regionali e le autonomie Maria Stella Gelmini, il cui intervento era previsto martedì al convegno “Metromontagna. Una nuova visione per le terre alte”, organizzato da Unindustria al teatro Flavio Vespasiano. Alla fine l’esponente governativa non ce l’ha fatta a venire perché trattenuta a Bruxelles per la crisi ucraina, ma poco importa.
La scena si era ripetuta appena qualche giorno prima nel corso di un’analoga manifestazione della Lega nell’aula consiliare della Provincia con il ministro del Turismo Massimo Garavaglia, l’11 marzo. A portare il saluto a nome della città aveva ancora una volta provveduto il vice sindaco al posto del titolare. Quello in realtà era un evento elettorale a favore del candidato del centrodestra e quindi poteva essere leggermente più plausibile che a prendersi la scena fosse il diretto interessato. Nel caso della Gelmini l’appuntamento non era invece inserito nell’agenda della campagna elettorale e dunque la stonatura è risuonata più stridente, visto che non si trattava nemmeno di sostituire Cicchetti per un imprevisto dell’ultimo minuto: il dettagliato comunicato di presentazione con l’elenco dei relatori era stato infatti diffuso dagli organizzatori con abbondante anticipo.
A poche settimane dal voto nessuno si scandalizza per certi espedienti. Però c’è anche un garbo istituzionale da osservare. La visita in città di un ministro non è frequente. Due nel giro di dieci giorni sono ancora più rare e il fatto che a dar loro il benvenuto non fosse il sindaco, stinge sia sul piano strettamente protocollare sia su quello del rispetto verso gli ospiti e verso i reatini che quel sindaco lo hanno eletto. La generosità di Cicchetti nel fare un passo indietro sarà stata senz’altro apprezzata da Sinibaldi e da tutto il centrodestra, di sicuro un po’ meno dal resto della cittadinanza.
Nel frattempo continua a tenere banco la posizione sulla guerra in Ucraina del deputato pentastellato Gabriele Lorenzoni. In un caustico articolo sul Corriere della Sera del 13 marzo è stato descritto come “filo Putin”. E un paio di giorni dopo è finito vittima in diretta tv della satira mordace del duo comico Luca e Paolo nella copertina della trasmissione DiMartedì su La7.
Lorenzoni ha subito replicato parlando di “una intervista travisata e piena di virgolettati falsi”, il cui contenuto a suo dire non veritiero sarà dimostrato in tribunale. A prescindere dall’intervista, l’indirizzo politico è comunque nitido, attestato dal voto contrario sul decreto Ucraina del 17 marzo e dalla pubblica dissociazione dall’intervento in collegamento video del presidente Zelensky di fronte a deputati e senatori riuniti martedì a Montecitorio. Coerentemente con le premesse e incurante delle pressioni di Giuseppe Conte e dell’ala governista del Movimento, Lorenzoni ha disertato l’aula, prendendo una decisione che gli è costata una valanga di critiche oltre a un’altra sferzante battuta dello stesso giornalista e la reprimenda di Milena Gabanelli, sempre sul Corriere.
Non è la prima volta che il parlamentare reatino balza agli onori delle cronache. Lo scorso 27 gennaio, Giorno della Memoria istituito a perenne monito dell’Olocausto, aveva pubblicato un post con un fotogramma tratto dal film “La vita è bella” di Roberto Benigni. Nell’immagine compariva il piccolo Giosuè mentre chiede al papà il significato dell’odioso cartello “Vietato l’ingresso ai cani e agli ebrei” che le leggi razziali del 1938 imponevano di esporre sulle vetrine dei negozi. Nel post di Lorenzoni il cartello era stato modificato con la dicitura: “Vietato l’ingresso ai non vaccinati e ai cani” e la postilla “o vaccinati da più di sei mesi senza booster”.
L’uscita aveva scandalizzato più di qualcuno ottenendo una risonanza nazionale. Non solo e non tanto per la disapprovazione nei confronti dell’obbligo vaccinale richiesto per esercitare determinate attività o frequentare determinati luoghi, quanto piuttosto per l’infelice accostamento con l’immane tragedia causata dalla ferocia nazi-fascista proprio nel giorno dedicato al ricordo. Pure in quel caso Lorenzoni aveva respinto le accuse di antisemitismo, dicendo di essere stato equivocato e di sentirsi anzi vittima di una strumentalizzazione politica.
Il bello della democrazia è che ognuno è libero di esprimere le opinioni che crede. Le esternazioni di Lorenzoni, per quanto eccentriche rispetto al sentire maggioritario, hanno quindi diritto di cittadinanza come le altre. Servirebbe soltanto capire se si tratta del frutto di una personale analisi storico-culturale o l’espressione delle idee di un gruppo di riferimento, in particolare dei grillini di Rieti.
Nella sua essenza il Movimento 5 stelle prevede una parità assoluta tra attivisti e rappresentanti istituzionali (il famoso “uno vale uno”), tanto che questi ultimi sono chiamati “portavoce” e non già con il titolo dell’assemblea di appartenenza. Considerate le difficoltà di collocazione nello schieramento politico alla vigilia delle prossime amministrative, gioverebbe sia agli elettori sia agli analisti sapere se le tesi portate avanti da Lorenzoni siano o meno riconducibili all’elaborazione politica della comunità pentastellata reatina: sarebbe un elemento di chiarezza decisivo nella maturazione del giudizio su una forza importante anche nel panorama locale.
Dal canto suo il Partito democratico appare ancora frastornato dall’esito delle primarie del 6 marzo. Il socio di maggioranza dello schieramento progressista non ha finora dato notizia di sé, dopo aver bruciato nella sfida vinta da Simone Petrangeli il proprio candidato Claudio Di Berardino, a sua volta tornato nell’ombra del suo incarico di assessore regionale. Né il deputato Fabio Melilli né il consigliere regionale Fabio Refrigeri si sono segnalati per un particolare attivismo nella ricostruzione di un’alleanza scossa da dissidi interni tuttora non ricomposti. Lo sforzo dell’ex sindaco di trovare una sintesi assomiglia allora sempre più alla fatica di Sisifo e il dubbio che si veleggi verso un cupio dissolvi comincia a insinuarsi dando linfa alle aspettative di Carlo Ubertini. Il candidato del Terzo polo si è appena assicurato l’appoggio di Uniti per Rieti (dopo Psi e NOME Officina politica), sotto le cui insegne correrà l’ex leghista Andrea Sebastiani. Al momento la grande speranza del segretario cittadino del partito Ivano Paggi di riportare dopo trent’anni un sindaco socialista in Municipio (l’ultimo fu Paolo Bigliocchi) sembra comunque basata più su un auspicio che su un trend consolidato di acquisizione del consenso, anche perché la candidatura Ubertini finirà per pescare in larga parte nello stesso bacino di Petrangeli, della cui giunta è stato assessore tra il 2012 e il 2017.
Tra colpi a effetto e inattesi ritorni, si vanno delineando scenari davvero interessanti. Ambigui e criptici ma interessanti.
27–03-2022