Aprile 2023

EDITORIALE

LA CURA

salute, sanità

di Stefania Santoprete - Sandro (nome di fantasia) ha più di 80 anni. E nella terza fase della sua vita ha avuto la fortuna di conoscere una seconda giovinezza. Anziché rinchiudersi in se stesso ha partecipato ad un viaggio di gruppo, ha conosciuto delle persone nel luogo di mare che ha visitato ed ha deciso di tornarvi, subito dopo. La sua vita ora scorre su due binari: Rieti, dove ritrova i suoi familiari e la nuova cittadina che l’ha accolto con generosità ed amicizia.

E’ un uomo autonomo, brillante, capace di badare a se stesso e di organizzare le sue giornate; nulla sembra fermarlo.

Quando è stato colpito da un malore ha prima nascosto la cosa ai suoi figli poi si è arreso all’evidenza ed ha dovuto fare ritorno a casa. Il varcare la porta del Pronto Soccorso lo ha riportato prepotentemente alla realtà, mostrandogli con crudezza ciò che questa società si aspetta dai dati riportati in carta d’identità.

Prima cosa, quindi, un pannolone e non ti alzi per nessun motivo dalla barella, e sì, ti do del ‘tu’ nonnino, chiunque tu sia fuori da qui. Quanto dura la stabilità di una persona la cui famiglia si adopera ogni giorno, per preservarne una qualità di vita ottimale, una volta dentro quella realtà?

Siamo qui a parlarne, nuovamente, convinti che ci sia un altro modo di ‘curare’ più efficace e risolutivo, che abbia a che fare con la comprensione e l’accoglienza dell’essere umano nelle diverse fasi della vita.

Luigina (altro nome di fantasia) è un’anziana signora della provincia di Rieti.

E’ caduta, e come tanti della sua età ha un femore rotto. In quelle condizioni anche il minimo movimento sulla stessa barella dove staziona da diverse ore procura dolori lancinanti.

Ma il personale che interviene per cambiare lei e molti altri fermi da giorni in pronto soccorso, sa di cosa soffrono? Hanno il tempo di comunicarselo tra un passaggio di turno e numerose incombenze? Perché sulle lettighe non c’è un segnale, un cartello, un avvertimento, che eviti di farla urlare durante le manovre di cambio pannolone?

Luigina ha uno strano comportamento: picchia tutti coloro che le si avvicinano.

Allunga le mani, tenta di graffiarli, si strappa la flebo. Eppure le parlano con grazia, un giovane dottore è addirittura uscito dalla sala di osservazione per capire come mai, le ha chiesto di cosa avesse bisogno. Lei non sente ragioni. Grida, chiama uno dopo l’altro per nome i suoi famigliari e li scongiura di arrivare presto perché stanno rubando ogni cosa. E’ certamente un elemento di disturbo.

Una giovane signora si contorce per il dolore all’addome e la supplica di stare un po’ zitta.

Cosa ha Luigina? Non sa dove è, non capisce cosa sia accaduto, è stata trasportata su un’ambulanza dopo la caduta che deve averla lasciata sfinita, e -scoprirò più tardi dai suoi familiari che chiederanno di lei all’accettazione, dopo oltre 24 ore senza informazioni- è ipovedente! Luigina è ‘dissociata’, così come rischia di accadere a tutte le persone di una certa età dopo diverse ore in un ambiente che non conoscono e tra volti non noti.

E’ convinta di essere ancora in casa propria e che siano stati gli altri ad entrare: vede solo ombre e non ne riconosce la voce, è chiaro vogliano fare del male a lei e al suo nipotino che tenta in tutti i modi di difendere, piangendo, disperandosi, e graffiando con forza le mani di chi cerca di rassicurarla.

Dopo diverse ore decidono di trasferirla nei corridoi sul retro poiché neanche il calmante iniettatole con difficoltà placa la sua agitazione.

Siamo tutti consapevoli che a Luigina sarebbe bastata una carezza da sua figlia, due parole dette dalle persone di cui si fida tenendole la mano “Mamma sei in ospedale, siamo tutti al sicuro, siamo ad un passo da te, qui fuori. Casa è chiusa a chiave nessuno può entrare e tuo figlio è di guardia”. Le avremmo evitato tanta sofferenza scaturita dal terrore che qualcuno avesse catturato il nipote, che tutti i suoi averi fossero in balia dei ladri (“Ladri! Ladri! Brutti schifosi andate via da casa mia!!! Via!! E come faccio? Chi mi aiuta? Giù le mani da ‘ssU monéllu!”) Invece la burocrazia, le modalità di intervento, di ingresso, i protocolli stilati da chi vive ai piani alti ignorando ciò che accade nel girone dantesco dei pronto soccorso, ha deciso che oltre a soffrire fisicamente per un femore rotto quella povera donna dovesse soffrire d’angoscia strappandola a chi si è sempre preso cura di lei: perché così dice il regolamento.

Il consigliere Alessio Angelucci durante la commissione sulla sanità disse che ognuno di noi, affrontando questi temi, dovrebbe poi sentirsi sulla coscienza la responsabilità di vedere i cittadini non ricorrere alle cure dei pronto soccorso tempestivamente sull’onda del clima di sfiducia creato. Sono parole che abbiamo sempre ben chiare ma davanti alle quali non possiamo comunque tacere.

La pandemia ha creato la necessità di misure messe in atto per contrastarne l’impatto privando  pazienti, familiari e sanitari delle relazioni umane. Ora i cittadini non sono più disposti a sentire giustificare chiusure e limitazioni, come avvenuto in passato. L’esperienza avrebbe dovuto consegnarci possibilità di tutela e protezione.

Questo ad esempio è quanto dichiara l’Ordine delle Professioni Infermieristiche della Provincia di Trento, che “considera fondamentale il ruolo del caregiver e dei familiari nei processi di cura, il loro coinvolgimento, presenza e vicinanza al paziente/ospite. Il benessere delle persone, e in particolare degli anziani, è intimamente collegato anche alla loro sfera psico-emotiva. La possibilità di poter avere vicino i propri cari e di favorire una vita relazionale, influenza positivamente lo stato di salute. La vicinanza e il tocco dei propri cari sono la linfa della nostra esistenza e del nostro benessere. In aggiunta, il caregiver rappresenta una risorsa fondamentale nel percorso di cura della persona, e diventa altresì interlocutore privilegiato da coinvolgere attivamente in tutte le fasi dell’assistenza. Come Ordine, pertanto, vogliamo richiamare una maggiore attenzione della Politica e delle Istituzioni sull’importanza della dimensione umana e del bisogno di vicinanza con i propri cari che ognuno di noi ha, soprattutto nei momenti della malattia e della morte. Sosteniamo con forza la filosofia dell’assistenza centrata sul paziente e sulla famiglia, di un’umanizzazione delle cure pervasiva, e in tal senso sentiamo l’esigenza di chiedere alle Istituzioni di condividerla fornendo indicazioni coerenti con i suoi principi declinati anche alle visite, affinché i familiari possano essere vicini ai propri cari e possano accompagnarli nei percorsi di cura e di assistenza”

E’ quello che in definitiva chiedono a gran voce i numerosi parenti di chi affronta un ospedale in questi tempi grigi e che attraverso i social trovano sfogo.

La risposta violenta registrata in questo ultimo periodo dalla cronaca a  danno del personale, soprattutto nei pronto soccorso, non può essere in alcun modo giustificata. Ma qualche domanda conseguentemente all’intensificarsi degli episodi, verrebbe da porsela. Consegnare un malato ad una struttura sanitaria non può dover significare vederlo risucchiare da un buco nero sparendo ai nostri occhi. E allora, almeno, facciamo entrare i volontari. Soprattutto in pronto soccorso. Gente che non ostacoli ma sia collegamento tra paziente e familiari in attesa, che dica una parola d’incoraggiamento ad entrambi, che li sostenga, che porti un sorso d’acqua a chi attende su una lettiga, che lo imbocchi, che segnali agli OSS delle necessità fisiologiche.

Dietro a chi insiste per entrare, a volte c’è un grande dolore da affrontare e non sempre la lucidità adatta per procrastinare un incontro “Il personale all’ingresso è in assetto da guerra, iniziano a scrutare i visitatori con la scusa delle mascherine e della misurazione della temperatura. Si entra come in carcere, i visitatori dalle 17 in punto vengono schedati e prima che la fila defluisca passano almeno 20 minuti. Ho visto una persona anziana, sicuramente ultraottantenne camminare appoggiandosi ad un bastone, accompagnata dal figlio,  è stata fermata perché erano in due: è stata accompagnata dalla guardia.

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