di Massimo Palozzi - Il consigliere comunale del Pd Paolo Bigliocchi (già sindaco negli anni Novanta e poi assessore nell’ultimo esecutivo di centrosinistra) ha scritto una lettera all’attuale sindaco di Rieti Daniele Sinibaldi per indurlo in sostanza a rinunciare all’aumento delle indennità di carica previste dall’ultima legge di bilancio. “Sarebbe cosa utile ed apprezzata se l’attuale amministrazione prendesse una decisione simile a quella della giunta Petrangeli e magari decidesse di ridursi del 20% le retribuzioni mensili vincolando tali somme al sostegno di famiglie e imprese in grandi difficoltà per via della crisi energetica e non solo”, ha specificato Bigliocchi rivolgendo un’esortazione cui probabilmente non è estranea un po’ di propaganda elettorale per il voto di oggi, ma che coglie comunque un’autentica questione aperta. A breve entreranno infatti a regime gli aumenti (per la verità lungamente attesi dagli amministratori locali di tutta Italia) decisi per adeguare gli emolumenti di sindaco, presidente del consiglio comunale e assessori.
La maggiorazione è pari al 45% nell’anno in corso, con una crescita graduale fino al raddoppio nel 2024. In applicazione dei nuovi parametri il Comune di Rieti ha adottato una determina per impegnare fin da subito 181mila euro destinati all’aumento degli “stipendi” degli amministratori. Un intervento che a Bigliocchi è sembrato particolarmente fuori luogo proprio in ragione di una “norma probabilmente poco sensibile alle difficoltà che gravano su molti cittadini e attività”. E per non apparire come quello che predica bene e razzola male, ricorda il precedente del 2012 quando “in presenza di un ente in predissesto, il sindaco e la giunta comunale ridussero i propri emolumenti del 15%”.
L’argomento è serio e al contempo scivoloso. Lo stesso ex sindaco percepisce il rischio che la sua presa di posizione possa essere scambiata per facile populismo e si appella a Sinibaldi alla luce della gravità economica del momento.
L’incremento è parametrato in base alla consistenza della popolazione e al trattamento economico del presidente della Regione. In base ai nuovi indici, l’indennità mensile lorda del sindaco del capoluogo passerà da 3.114 euro a 4.830, fino ad attestarsi alla quota definitiva di 6.228 a partire dal 2024.
Tecnicamente lo stanziamento verrà coperto per intero dal bilancio statale e non graverà quindi sulle esauste casse comunali. Un dettaglio che non sposta di una virgola il problema sollevato da Bigliocchi circa l’opportunità di una mossa di sicuro sgradita all’opinione pubblica alle prese con i mille problemi di una fase congiunturale piuttosto complicata.
Messa in questi termini, è difficile dare torto all’esponente dem. Quei quasi duecentomila euro potrebbero essere più utilmente impiegati a favore di interventi emergenziali per soccorrere fasce sociali in sofferenza. C’è però pure da fare una considerazione di ordine generale sul pauperismo degli eletti. Soprattutto nei centri medio-piccoli gli amministratori locali sono il tramite più diretto con la popolazione. Si devono occupare di una molteplicità di situazioni, caricandosi quotidianamente di ogni sorta di responsabilità. È giusto allora svolgere un compito così delicato e oneroso in stile poco più che volontaristico? Se si parte dal presupposto che le cariche elettive non costituiscono un obbligo ma anzi scatenano competizioni durissime tra schiere di canditi, allora la risposta è sì. Se però ci si sofferma sul fatto che le istituzioni vivono sulle gambe di persone in carne e ossa, la faccenda diventa più complessa.
A dirla tutta, la reale distorsione non è l’ammontare delle retribuzioni quanto la spinta al perpetuarsi di politici professionisti. Tutte le cariche pubbliche sono, per definizione, pro tempore. Il punto è capire la durata effettiva del periodo dedicato a questa missione.
Sia a livello nazionale che locale la storia è piena di personalità, anche profondamente rispettate, che nella loro vita non hanno fatto altro che i politici, passando da un’assise all’altra in cerca non solo di gratificazioni di natura strettamente valoriale, ma più prosaicamente di una retribuzione per campare. In altre parole, il “professionismo” ha generato schiere di “lavoratori” della politica che hanno inteso il loro agire pubblico alla stessa stregua di un comune impiego.
In assoluto non c’è niente di male in tutto questo. Chiaro che dipendere da un’elezione o dalla nomina in un qualche ente per sbarcare il lunario non mette nessuno nelle condizioni migliori per esercitare un ruolo tanto elevato di rappresentanza democratica e gestione della cosa pubblica. Per altro verso è vero pure che la politica e l’amministrazione necessitano di competenze e talenti non così facili da trovare, per cui chi vi si dedica a tempo pieno e negli anni migliori della propria esistenza, per di più con il conforto del consenso popolare, in nessun modo va bollato come un parassita.
L’eventualità che nel nome dell’impegno politico si finisca per costruirsi carriere così unicamente orientate però esiste e non è da sottovalutare. Le ricette per contrastare una certa deriva non hanno quasi mai funzionato e in effetti si pone come una questione di fondo difficile da esorcizzare la rinuncia forzosa a incarichi di governo quando sorretti dal voto degli elettori: non è forse questa la base della democrazia?
Per converso, chi si dedica all’attività di amministratore locale lo fa spesso rinunciando a molto del suo privato e trascurando (chi ce l’ha) la propria professione. Un adeguato emolumento diventa quindi senza ipocriti infingimenti la maniera per remunerare le prestazioni svolte al servizio della collettività, mettendo magari al riparo la comunità da tentazioni di natura poco onorevole. Altrimenti il pericolo speculare cui ci si espone è quello della selezione elitaria delle classi dirigenti, con amministratori individuati più dal censo che dalla sincera dedizione alla causa.
Rimane poi da considerare la differenza retributiva tra amministratori locali e altri corpi istituzionali. Che un sindaco “meriti” meno di un parlamentare o di un consigliere regionale non è realistico e nemmeno equo: per il carico di lavoro che deve sopportare, per le responsabilità che si assume, per i mille risvolti che lo svolgimento del mandato comporta.
Va da sé che il bilanciamento di tutti questi fattori non risulti per niente agevole. Tenuto conto del contesto, non si avverte certo l’urgenza di procedere con l’aumento delle indennità di funzione. Il tema di un’adeguata remunerazione resta però sul tavolo. Non a caso si tratta di indennità, cioè di un corrispettivo stabilito per mantenere “indenni” dalle conseguenze del loro agire soggetti che, per esigenze e interesse generali, subiscono delle perdite sia in termini di mancati guadagni che di prospettive di carriera. E siccome l’idea di portare a casa lo stipendio alla fine del mese piace a tutti, nonostante l’opposta pretesa di parecchie sedicenti anime candide, un incentivo economico non è elemento trascurabile allo scopo di stimolare la passione civile e migliorare la qualità del lavoro. Anche di quei sindaci e di quegli assessori che, come da slogan rituale e chissà quanto sincero, lo fanno senza alcuna ambizione personale e nell’esclusivo interesse dei cittadini.
25–09-2022