di Stefania Santoprete - “Rieti sacrifica tutto sull’altare della pubblicità e del turismo per ricavarne domani valuta pregiata. L’atmosfera del Festival si vive al Flavio fuori, per le strade, negli alberghi. Il via è ormai a poche ore e l’ambiente è surriscaldato.... Filippo Simarchia ha creato un effetto suggestivo: pedana in movimento, colori vivaci che vanno dal rosso, al blu, al nero in un muovere geometrico di simboli astratti che, con gli effetti di luce, acquistano movimento e tono. I tecnici della Tv hanno piazzato già le telecamere. Sono tre che hanno sotto pubblico, divi del genere ‘beat’ e tutto il Flavio. I tecnici hanno messo da parte un po’ tutti, sono diventati in pratica sgherri autoritari a cui ogni cosa è possibile: l’alta tensione scorre attraverso cavi gommati che dalle telecamere corrono via oltraggiando il trionfo di Tito Vespasiano affrescato sulla cupola. Una gigantesca presa tappa le narici sbuffanti di un sauro africano e fa sberleffo ad un imperatore sconfitto. Una potente “cinquemila” occhieggia fra i velluti di una poltrona ed i medaglioni di gesso del palco” - raccontava dalle pagine del Messaggero di Rieti del 1966, un giovanissimo Ottorino Pasquetti - “Alle 21,30 esatte Enza Sampò dà il via all’ultimo giorno del Festival nazionale di Rieti. Il “Flavio” è gremitissimo in ogni ordine di posti. Si calcola che almeno 1.500 persone siano presenti alla serata, mentre un altro migliaio è restato fuori dalle porte del massimo tempio dell’arte reatino che ne contiene appena mille. Il servizio d’ordine è perfetto. Squadre di fans scatenate hanno occupato il loggione e si scaldano fischiando e urlando e battendo le mani com’è ormai di moda per la musica ye-ye. La serata inizia con “I Nomadi” che presentano “Come potete giudicare”. Seguono “I Giganti” con “La bomba atomica”, una canzone che è veramente uno schianto. Così è stata definita dai tifosi del beat... Esplosione nel teatro nell’attimo in cui appaiono “Roberto e i Sabini” unico complesso locale rimasto in gara che presenta “Ci vuol poco”... Scene nuovamente isteriche quando il palco dei complessini è occupato dai “New Dada”. Il teatro si scatena, i giovanissimi invadono le corsie della platea; nei palchi si balla e si teme che dal loggione precipiti qualcuno. L’esecuzione è perfetta.”
“La canzone vincitrice del Primo Festival Nazionale di Rieti di musica ye-ye è “Ci vuol poco”. L’hanno portata al successo invero meritatissimo, i fenomeni “The New Dada” (di Maurizio Arcieri) ed i bravissimi “Roberto e i sabini”.
Roberto Lucandri, 24 anni nel ’68, racconta con fare distaccato l’avventura che dal ’65 lo porta all’interno di uno dei gruppi più rappresentativi di quell’epoca dopo aver fatto parte del complesso “I serpenti” (con Pasquale Del Re, Vladimiro Mirri, Renato Brandi e Peppinello Piccardi).
I Sabini comprendevano, oltre Roberto, Franco e Mauro Cippitelli, Tonino Carotti, Walter Capasso e Tonino Orsini sostituito in seguito da Giulio Rossi.
Grandi le soddisfazioni di quegli anni che portano il gruppo a partecipare a diverse rassegne e a prender parte ad un provino alla RCA. Superato l’esame iniziano a far parte del seguito di personaggi del calibro di Patty Pravo e dei Camaleonti, spettava a loro scaldare l’ambiente.
I Sabini piacciono agli esperti.
La voce di Roberto è così particolare che i produttori di allora decidono di voler investire una cifra strabiliante per prepararli a dovere e lanciarli: il progetto prevede la tournée al seguito dei New Dada all’Olympia di Parigi e che possano essere loro il gruppo spalla delle date italiane dei Beatles (è Leo Wachter, infatti, agente di Maurizio Arcieri & Co., colui che convincerà Brian Epstein manager supremo ed assoluto dei quattro scarafaggi a firmare un contratto per un’intera settimana nella nostra penisola).
Incredibilmente i ‘nostri’ dicono NO. “Per la famiglia, per amore - spiega Roberto - e perché i ragazzi non volevano venire a Milano” “In realtà non ero affatto convinto che quella fosse la mia strada - puntualizza - non credevo troppo in ciò che facevo e che la Musica potesse essere il mio futuro...” Poche parole per liquidare quella che potrebbe essere definita ‘la grande occasione di una vita’, poche parole per rendere concreta la differenza tra quella generazione e l’attuale, assetata di ‘visibilità’.
Una decisione che parte anche dallo scontro con la realtà di quel loro primo incontro con i Nomadi “Era il 1966 e il gruppo di Augusto Daolio era ospite del nostro locale in Via del Seminario (quello che sarebbe poi diventato il famoso “66”) dove provava. All’ora di pranzo feci presente che dovevo chiudere per andare a mangiare e loro risposero “Magari potessimo andarci anche noi”: non avevano una lira in tasca. Baci ed abbracci per quei panini portati al volo e per aver dato loro la possibilità di dormire lì. Erano arrivati con un pulmino in cui erano stipati insieme a tutti i loro strumenti... Altro che mondo d’oro dello spettacolo!”
Vero è che l’anno dopo sull’onda di “Dio è morto” giunsero a Rieti a bordo di 6 Mercedes con due pulmini al seguito e tecnici a disposizione per il montaggio degli strumenti!
(da Format giugno 2008)
Nelle foto:
I New Dada sul palcoscenico del Flavio
Roberto con Oria subito dopo la vittoria
I Sabini: Giulio Rossi, Mauro Cippitelli, Roberto Lucandri, Walter Capasso, Franco Cippitelli, Tonino Carotti