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Novembre 2018

IL VENTO CALDO DELLA RIBELLIONE

IL VENTO CALDO DELLA RIBELLIONE

a 50 anni dal 1968

Il 1° marzo del 1968 a Roma c’era il sole... E la storia del Sessantotto, da qualsiasi parte la abbordiate, si ritrova a fare i conti con la cronaca di una giornata: la battaglia di Valle Giulia...

Quando, poco prima delle undici, gli agenti caricano le prime file della manifestazione che è arrivata sotto Architettura lanciando un paio d'uova e gridando "Poliziotti andatevene a casa!”, avviene qualcosa di totalmente nuovo. Gli studenti reagiscono. Con una rabbia sconosciuta. Per chiudere la battaglia, che dura fino al pomeriggio, devono intervenire un migliaio di agenti, con decine di camionette e gli idranti che sparano acqua e ammoniaca. Alla fine si contano 144 feriti tra le forze dell'ordine, 47 tra gli studenti (ma la maggior parte dei giovani evita di farsi curare in ospedale). I fermati sono 228; di cui però - particolare che scatenerà altre polemiche - solo quattro vengono arrestati.

...Non che il '68 non fosse già in marcia prima di quel primo marzo. Anzi. Il movimento che avrebbe scosso la società occidentale aveva dato abbondanti segni di sé nei mesi precedenti: un ribollire, espresso più dalla musica che dai testi del marxismo, che saldava le marce di protesta contro la guerra del Vietnam e la minaccia atomica alle prime contestazioni della famiglia e della morale “borghese”.

Nei licei e nelle università i giovani, con la conquista dell' assemblea, avevano appena scoperto il diritto di parola. E la vera scintilla di Valle Giulia era scoccata il pomeriggio precedente, quando il rettore dell'ateneo romano aveva chiamato la polizia per ristabilire l'ordine minacciato dagli studenti che, occupate le aule, rifiutavano il voto e chiedevano di sostenere gli esami anche su argomenti diversi da quelli fissati dai programmi.

Proprio per protestare contro quell'intervento, la mattina dopo, quattro o cinquemila ragazzi, medi e universitari, si erano riuniti a piazza di Spagna e avevano deciso di raggiungere la facoltà di Architettura, presidiata da duecento uomini, tra polizia e carabinieri... Sia tra le forze dell'ordine, sia tra i giovani nessuno immagina quello che sta per accadere...

Valle Giulia, però, è davvero qualcosa di più. Un simbolo, che ognuno riempie di ciò che preferisce. E uno spartiacque. Quei giovani, che nessuno saprebbe ancora assegnare dal semplice aspetto alla destra o alla sinistra, hanno le sfumature alte, la giacca e la cravatta, le scarpe coi lacci; il massimo della trasgressione è un giubbotto, un montgomery, un giaccone blu alla marinara. Sono il Sessantotto; ma ancora non lo sanno.

(da La Repubblica - Luca Villoresi

Rieti non raccolse immediatamente il vento di rinnovamento che arrivava dal Movimento, quello che noi chiamiamo “Sessantotto” giunse in ritardo e, secondo Loris Bronci, testimone di questa puntata, partì dalle ultime classi degli Istituti Superiori.

Mentre nelle grandi città erano i Licei Classici che tenevano banco sulle grandi questioni sociali, da noi la contestazione affondò le radici nel rivendicare pari opportunità di studio per tutti.

“Il liceale aveva un programma prestabilito: sapeva che sarebbe andato poi all’Università - spiega Brenci - questo non avveniva per le classi meno agiate che registravano il maggior numero di iscritti negli Istituti Tecnici”.

“Leggendo le precedenti puntate abbiamo capito come tutti,  facendo musica, scrivendo poesie, tentando di esprimersi, contribuivano a quella che era la vera essenza della Cultura - spiega -  Noi tutti in adolescenza abbiamo scritto poesie ma rimaneva un fatto nostro, privato, mai ci sarebbe venuto in mente di pubblicarle. Il Sessantotto ha dato la possibilità di poter esprimere e dire quello che noi pensavamo a tutti, riuscendo a materializzare la definizione di ‘cultura’: mettere a disposizione degli altri il proprio sapere. Ciò fu reso possibile da un’enorme apertura all’altro, allo svilupparsi di un dialogo.”

“Come Aldo Lafiandra e tanti altri amici, anch’io facevo parte di un gruppo, ero il tecnico de “I birilli” ma ero l’unico politicizzato. Gli altri erano ‘strumenti inconsapevoli’ di quello che ci circondava, volevano esprimere ciò che avevano dentro e dirlo a tutti : questa è stata la vera Rivoluzione.

“Con Bruno Bucciolotti, Bruno Pescetelli, Gino Magrini ed altri si formò un movimento spontaneo di studenti di sinistra che portarono avanti le proprie rivendicazioni. Passammo così ad attuare la prima occupazione a Rieti, quella dell’Istituto Tecnico Industriale. Partimmo dal presupposto opposto a quello della protesta americana. Se loro aspiravano ad una preparazione più vasta per affrontare la vita, noi avevamo come obiettivo la specializzazione, quella che ci avrebbe permesso di  introdurci nell’industria.

In realtà Rieti, pur non avendo all’epoca problemi occupazionali, non aveva ancora un nucleo industriale. All’epoca le attività maggiormente rilevanti erano lo Zuccherificio, la Snia Viscosa, l’Ars per la raccolta dei sementi e l’Irca inscatolamento pomodori (al posto della discoteca di Caporio)”.

“Il nostro vice preside - ricorda Loris - dipendente della sede di Terni, era già ‘avvezzo’ al Movimento e subì la richiesta di occupazione in maniera piuttosto arrendevole. Dormivamo all’interno dell’Istituto, facendo dei turni di guardia (in realtà non accadde mai nulla). Cercammo di  coinvolgere le altre Scuole ma non ci seguirono, organizzammo comunque alcuni dibattiti abbastanza affollati negli spazi coperti della Piscina Comunale. Un risultato ci fu: riuscimmo a convincere le ragazze dell’Istituto Magistrale a fare il loro primo sciopero contro le regole ferree che erano loro imposte, quale tenere i capelli raccolti ed indossare un grembiule. Molti dei nostri insegnanti, estremamente giovani, ci seguirono in questa nuova fase di presa di coscienza”.

“Rieti non dava la possibilità di rompere certi schemi come ‘non parlare al fascista o al comunista’. Era troppo piccola questa città, eravamo tutti cresciuti insieme, avevamo giocato fianco  a fianco. Ricordo che ai dibattiti studenteschi partecipava anche Antonio Cicchetti e pur essendo su fronti opposti ci abbracciamo e salutiamo ancora con calore: non condividevamo le idee ma rispettavamo la persona”

“All’interno delle Istituzioni, subito dopo il ’68, trovammo personaggi di grande umanità e di alto spessore politico, un’intellettualità diversa rispetto ad altri tempi. Ricordo il Sindaco Aloisi, il provveditore Minervini, un consiglio comunale in cui sedeva il senatore Lello Anderlini, l’avvocato Franco Coccia futuro membro del Consiglio Superiore della Magistratura ed un architetto, Cantatore, docente universitario...”

 

(da Format 2008 - terza puntata) 

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