Il lungo viaggio del carro di Eretum, che presenta per la prima volta riunito il ricco corredo funerario del principe sabino ha fatto tappa a Rieti, a Palazzo Dosi-Delfini, portando con sé una storia affascinante che vale la pena raccontare in questa rubrica.
Il misterioso principe di Eretum
Il nome di Eretum appare nella documentazione storica soprattutto come luogo di alcune battaglie tra Sabini e Romani, avvenute tra l’età regia e i primi tempi della Repubblica. La città si trovava in una posizione di frontiera con il territorio latino. Il centro abitato è stato individuato sulle colline di Casacotta (Montelibretti). Colle del Forno era una delle necropoli delle alture circostanti. Gli scavi eseguiti dal Cnr portarono alla luce 40 tombe a camera, utilizzate tra la fine del VII secolo a. C. e la prima metà del III secolo a.C. Lo scavo della tomba XI, isolata rispetto al resto delle sepolture, fu effettuato nel 1972. Fu subito evidente come la tomba fosse stata svuotata con un mezzo meccanico, restava da scavare però un riempimento di circa 60-70 cm. di altezza dal pavimento. La tipologia architettonica della tomba, un unicum, la raffinatezza dei materiali recuperati, la presenza di resti di carri e il lungo periodo d‘uso (arriva fino all’epoca della romanizzazione) mostrava come si trattasse della tomba di una famiglia di rango eccezionale, che aveva adottato usi funerari completamente divergenti rispetto a quelli rivelati dal resto della necropoli. Lo studio evidenziò come la fondazione del sepolcro fosse più antica di quanto ritenuto: sarebbe stata costruita inizialmente per un personaggio femminile di alto lignaggio, vissuto circa due generazioni prima rispetto al principe titolare. La defunta poteva essere stata deposta su una lettiga lignea con un ricco corredo ornato di lamine auree. Dopo il restauro e l’esposizione al pubblico dei materiali (Roma 1973), si avviarono accurate ricerche che permisero di ricostruire la storia dell’intervento clandestino che aveva sconvolto la tomba.
Il lungo viaggio del carro di Eretum
I reperti più belli provenienti dallo scavo illecito furono portati all’estero dal noto trafficante Giacomo Medici, che li conservò nel porto franco di Ginevra. La preziosa merce fu venduta alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen tramite l’intermediario americano Robert Hecht per una cifra altissima (ca. 1.265.000 franchi svizzeri). Nel 1979 Paola Santoro, dirigente di ricerca emerito del Cnr, cominciò a sospettare che quegli oggetti comparsi improvvisamente provenissero dalla tomba da lei scoperta. I materiali furono esposti in Danimarca come pertinenti ad un solo carro nel 2006. Nell’attesa fu creato un sito internet che consentiva di ‘navigare’ all’interno della sepoltura divisi tra Copenaghen e il Museo di Fara in Sabina. Nel 2016 si è avuta la restituzione all’Italia, grazie all’intervento del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale dei Carabinieri che già nel 1995 aveva potuto provare l’origine illecita dei materiali conservati. Dopo la lunga la procedura legale internazionale, la Fondazione Varrone ha fortemente sostenuto il progetto del ritorno del carro nella sua terra d’origine, la Sabina, reso possibile dal Ministero della Cultura e in particolare dalle Soprintendenze territoriali e dal Museo Nazionale Romano, nei cui laboratori si è compiuto il restauro. Così, finalmente, per la prima volta insieme a quelli conservati nel Museo Civico Archeologico di Fara in Sabina, sono presentati nella mostra a cura di Alessandro Betori, Francesca Licordari e Paola Refice, con l’allestimento progettato da Daniele Carfagna. Un percorso articolato in tre sale di esposizione per condurre il visitatore indietro nel tempo fino al VII secolo a.C., per scoprire - col commento di una colonna sonora originale - uno spaccato significativo della civiltà sabina. Un’operazione che troverà la sua degna conclusione l’anno prossimo nel ritorno definitivo a Fara in Sabina.
La deposizione principesca
La ricostruzione del Carro di Eretum proposta a Copenaghen non era completamente valida, in quanto teneva conto solo del carro da passeggio (calesse), mentre in realtà i carri erano due: un calesse e un carro da guerra (currus), in quest’ultimo il conducente stava in piedi. Per la prima volta possiamo vedere la ruota in ferro quasi integra e i coprimozzi montati insieme.
Secondo il modello di un rituale insolito in quest’area, l’individuo venne incinerato e i suoi resti raccolti in una cassetta rivestita da preziose lamine di bronzo decorate a sbalzo attribuibile alla produzione etrusca di Cerveteri, la cui fama giungeva sino ad Atene, gli stessi autori delle decorazioni delle lamine del calesse, delle bardature del capo dei cavalli e dei loro pettorali. Ma oltre a questi preziosi reperti, nella tomba c’erano anche altri oggetti.
Tutta la deposizione del ‘principe’ mostra l’adesione a un modello culturale ‘eroico’ teso a enfatizzare il duplice ruolo di capo politico-militare e religioso della comunità.
La mostra sarà aperta al pubblico, tutti i giorni dalle 17 alle 20 eccetto il lunedì. L’ingresso è gratuito ma è necessaria la prenotazione sulla piattaforma eventbrite.