a cura di Massimo Palozzi

Ottobre 2022

IL DOMENICALE

ELEZIONI E VITA VERA

città, politica, solidarietà

di Massimo Palozzi - Come ampiamente previsto, anche a Rieti le urne hanno premiato il centrodestra trainato da Fratelli d’Italia. Se tutti i sondaggi davano la netta affermazione su scala nazionale del partito di Giorgia Meloni, a livello reatino il dato era ancora più atteso per via delle recenti amministrative che hanno incoronato sindaco al primo turno il coordinatore provinciale di FdI.

Nel commento scritto su questa rubrica all’indomani dell’elezione di Daniele Sinibaldi, già tre mesi e mezzo fa venivano messi in evidenza due dati: il primo è che Sinibaldi era diventato sindaco all’esito di un voto molto politico, a dispetto della dimensione localistica che di solito riguarda le elezioni amministrative soprattutto nei centri medio-piccoli.

Il secondo è che Rieti si confermava una città di centrodestra (più destra che centro, per la verità) alla luce dei risultati che hanno premiato una coalizione capace di prendere addirittura più voti di quelli andati al candidato sindaco (55,38% contro il 52,17 raccolto a livello individuale).

La storia recente del resto parla chiaro. Fatta eccezione per il quinquennio 2012-2017, corrispondente all’amministrazione Petrangeli, dal 1994, cioè dalla prima elezione diretta, Rieti ha scelto sindaci espressione della filiera Msi-An, anche se da ultimo Antonio Cicchetti aveva preferito a sorpresa la militanza sotto le insegne di Forza Italia, un partito nel quale francamente nessuno ha mai saputo collocarlo davvero, vista la storia personale e le idee sempre professate.

Quelli che non se ne fanno una ragione mettono in evidenza come, prima di allora, Rieti sia stata a lungo una città di forti tradizioni socialiste. Una verità oggettiva che non basta però a ribaltare una situazione al momento definita. Naturalmente nulla è per sempre. L’evoluzione del quadro politico è solo in mente Dei, ma adesso la realtà è questa. Difficile dire se si tratti di un’adesione cieca a una linea sposata appieno o la reazione alla delusione provata rispetto alle politiche portate avanti dai rivali di opposto colore.

Di infatuazioni esplosive seguite da repentini ripiegamenti di massa è piena la storia politica, soprattutto degli ultimi anni. Appena nel 2018 il Movimento 5 stelle aveva ottenuto oltre il 32% dei consensi, al cui confronto il 26 conquistato oggi da Fratelli d’Italia sembra persino poco. A Rieti i grillini seguirono grosso modo l’andamento nazionale, mentre oggi la provincia si risveglia marcatamente a favore di FdI, che non scende praticamente in nessun comune sotto la soglia del 30% toccando punte stratosferiche come il 52,85% di Leonessa, paese di origine del confermatissimo deputato Paolo Trancassini (a giugno, in occasione delle amministrative, Fratelli d’Italia nel capoluogo era già il primo partito, sebbene attestato su un più contenuto 15,25%).

Nel corso dell’ultima legislatura il termometro politico è praticamente impazzito, partendo dal trionfo pentastellato per passare alla crescita esponenziale e all’apparenza inarrestabile della Lega (che invece è finita sotto il 9%), fino al decollo del partito della Meloni che oggi svetta senza avere avversari esterni ma nemmeno interni a minarne la forza elettorale. I motivi di questa irresistibile ascesa sono stati analizzati e saranno ancora oggetto di valutazione. Tutto però si può dire tranne che Rieti non fosse il laboratorio più accreditato per un esito del genere. La stabilità con la quale gli elettori del capoluogo hanno nel tempo premiato la destra è un dato incontrovertibile: negarlo finirebbe per trasformarsi in un’operazione di rimozione tanto emotiva quanto politicamente poco qualificata.

Nel frattempo la vita reale presenta aspetti delicati e per certi versi drammatici. Mercoledì abbiamo saputo che i primi giorni di settembre è stato siglato un protocollo d’intesa tra l’assessorato alle Politiche sociali del Comune di Rieti, il Samaritano odv della Caritas diocesana e l’Associazione Arabi insieme per la gestione di un riparo notturno di tipo emergenziale destinato a richiedenti asilo e rifugiati nei locali messi a disposizione dalla Moschea di Rieti in via Nuova.

La notizia ha sollevato non poche perplessità e qualche apprensione. La diffidenza che regna nei confronti di certe aggregazioni porta a ritenere un errore “consegnare” ad affiliazioni di cultura islamica gli stranieri in difficoltà che giungono sul territorio, nel timore che l’auspicata integrazione finisca per risolversi nel suo esatto contrario. Vale a dire nell’ingresso in circuiti autoreferenziali e poco disposti alla condivisione, se non addirittura all’accettazione, del nostro sistema di regole e di valori.

Il ricorso a questo genere di soluzioni-ponte (ponte almeno nelle intenzioni, poi chissà) mostra in effetti una preoccupante debolezza della rete istituzionale locale, incapace di farsi carico delle criticità connesse all’immigrazione. Senza peccare di ingenuità, andrebbe però visto anche come un’opportunità. In mancanza di misure più adeguate, il coinvolgimento di associazioni di diversa ispirazione può servire innanzitutto agli utenti a sentirsi tutelati e meno abbandonati. E può al contempo responsabilizzare gli stessi volontari e operatori umanitari, contribuendo al miglioramento della convivenza e alla semplificazione dei rapporti sociali all’interno del mondo che ospita i migranti in fuga da fame, guerra e persecuzioni.

Chi paventa il rischio che certi centri di accoglienza possano diventare scuole per l’indottrinamento intollerante pone una questione seria. A maggior ragione in un contesto caratterizzato dal paradosso per cui il paese in cui approdano non è in concreto nelle condizioni di prestare agli stranieri l’assistenza fornita invece da strutture collegate ad apparati indipendenti da quelli pubblici o da quelli garantiti da solide tradizioni di cooperazione pubblico-privato. Con l’inevitabile conseguenza di orientare la riconoscenza dei beneficiari in direzione non proprio corretta.

È il meccanismo che in altre circostanze rende forti organizzazioni persino illegali quando riescono a supplire all’inerzia o all’incapacità delle istituzioni. Dunque il fenomeno non è da sottovalutare, ma occorre tenere presente che nella situazione data sembrano al momento non esistere alternative. In attesa che vengano create è sicuramente meglio un sistema di accoglienza così congegnato, con tutte le sue lacune e i suoi limiti, piuttosto che il nulla. In fondo, i nigeriani che spacciano lo fanno perché sono “accolti” dalle bande criminali, invece che dalle istituzioni o dalle associazioni di volontariato.

 

02–10-2022

 

 

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