Donna e creatività, connubio d’ispirazione quasi naturale. Nel 1966 Simone de Beauvoir visitò il Giappone, ed ebbe modo di tenere le tre conferenze che ruotano intorno all’interrogativo: la creatività femminile è il luogo in cui si esprime la differenza di genere? Lo chiediamo a Lucia Ricciardi grafica e illustratrice
La creatività ha genere? C’è differenza tra quella femminile e quella maschile?
“Se c'è, è nel prodotto finale: la immagino sempre come un foglio bianco, come una strada bianca su cui ci si ci si inoltra e poi, piano piano, si vanno scoprendo cose che prima non vedevi, traducendo un ‘sentire’ frutto della sensibilità e delle esperienze vissute. Non una questione di genere quindi, ma di individui: vissuto, cultura, educazione fanno la differenza.
Grafica e illustrazione sono i due mondi di Lucia che si completano e si compenetrano. L’ultimo suo lavoro pubblicato dalle Paoline “Un pugno di semi” scritto da Lorenza Farina, è candidato al prestigioso Premio Strega per ragazzi e ragazze, nella nuova sezione ‘Narrazione per Immagini’.
“Solo esserci è una grandissima soddisfazione, ci sono dei bellissimi albi di autori stimati, rinomati, che avranno sicuramente più voce in capitolo - commenta Lucia con la consueta umiltà – è il secondo libro con Lorenza, quanto mai attuale. E’ la storia di un bambino profugo che lascia la sua terra portando con sé dei semi di acacia che gli ricordano il nonno, contadino. Un messaggio importante: si possono sempre portare con noi le radici e piantarle poi nella terra che ci accoglie, non debbono essere necessariamente tagliate quando vieni strappato dal tuo ambiente, anzi è possibile contaminare il nuovo se si vive l'accoglienza. Un albo rivolto a bambini dai 7 anni in su. A livello di illustrazione questo è il prodotto che mi piace di più realizzare. In questo caso il testo va un po’ interpretato rispetto a un'altra tipologia di narrativa dove occorre un riempitivo o un decorativo. Non un testo che prevale sull’immagine, ma le due narrazioni, quella visiva e quella testuale, si amplificano.”
Attraverso i social spesso racconti il tuo lavoro, spiegavi che eri davanti ad un foglio bianco ed aspettavi di vedere emergere il volto della protagonista, di vederla nascere praticamente dinanzi a te, come fosse lei a chiamarti e non viceversa.
“Quando hai un nuovo libro la prima cosa che fai studi il personaggio: devi immaginare questa nuova figura anche nei suoi dettagli, come ha i capelli, gli occhi, come è vestita… cominci a buttare giù degli schizzi e poi pian piano ti rendi conto che tra i vari volti c'è quello che ti convince. E’ accaduto con la protagonista de ‘Il cassetto dei ricordi’ e con San Francesco” Lucia non nasconde l’onore di essere stata scelta per realizzare l’intero progetto, scritto da Raffaella Pitz, ispirato alla biografia “Vita Prima di san Francesco” di Tommaso da Celano, e il privilegio che le è toccato nel dover dare un volto al Poverello tanto amato “Ho disegnato tanti schizzi prima che la mia mano riuscisse a soddisfare l’idea che io avevo del Santo. Un giorno tra una marea di fogli finalmente lui apparve lì, su quel foglio bianco, è come lo riconoscessi tra mille altri: mi guardava con dolcezza e determinazione…e io capii che avevo appena incontrato il mio san Francesco. Se ci penso ancora mi emoziono”. Dapprima si trattava di una video narrazione per rievocare la vicenda del primo presepe, per il quale l’illustratrice creò più di 30 immagini, poi uscì anche l’albo che tanto successo ha avuto nella nostra zona e che meriterebbe, con sguardo lungimirante, in vista dell’ottavo centenario dalla prima sacra rappresentazione a Greccio, di entrare nelle librerie italiane e internazionali. Il video su YouTube (‘Francesco e la vera storia del Presepe’) ha raccolto 112.227 visualizzazioni ed è già anche in lingua inglese, mentre altre traduzioni sono attese.
Quando hai conosciuto la tua capacità creativa? Sapevi che sarebbe stato il tuo futuro?
“Da sempre. Già da piccola disegnavo. Tra i ricordi più belli che ho c’è la scatola di acquerelli in regalo, io che passavo il pomeriggio a colorare: rivedo ancora disegni che mi avevano dato particolare soddisfazione. Creavo ad esempio biglietti d’invito per la mia festa, uno ad uno, Heidi con tutti i suoi personaggi per 20 bambini!”
Difficile che si accetti che una passione possa poi trasformarsi in un’occupazione seria, soprattutto in famiglia.
“I primi a doverlo riconoscere siamo noi. Certamente debbo tanto alle mie zie, mi commuovo nel ripensarci: ogni volta che creavo una piccola immagine loro mi pagavano, perché - dicevano - tu questo talento lo devi sfruttare e prima di tutto devi essere te a riconoscere questa capacità. Da loro sicuramente ho avuto una visione ancor prima l'avessi io. Ringrazio anche i miei genitori hanno sostenuto le spese della scuola,l'Istituto Europeo di Design a Roma, parallelamente all'Università che frequentavo solo per completare la mia formazione. Io avevo ben chiaro già da allora cosa volevo fare: coltivare il mio talento".
La società considera il tuo come un lavoro a tutti gli effetti?
“No. Ancora oggi c’è molta poco cultura nell’ambito artistico e grafico. Ognuno di noi sa quanto si voglia mettere bocca e quanto poco si conosca dell’attività altrui. Mi arrabbio molto quando dicono ‘fammi uno schizzo, cosa ci metti?’: ci ho messo vent’anni al limite, per metterci cinque minuti. Ma non è così, non in cinque minuti: prima devi documentarti, devi capire; il disegno lo vedi a colori forme e linee, ma dietro quel risultato c’è un’idea che si costruisce attraverso un pensiero razionale che poi si traforma. Non riuscirei mai ad essere cosi istintiva e sentirmi soddisfatta di ciò che ho fatto.
Stai dicendo che la creatività parte dalla razionalità?
“Assolutamente sì. Per questo dico che la grafica e l’illustrazione mi completano. Mi sento una persona razionale e la grafica risponde a questa esigenza di pulizia. Allo stesso tempo sono molto emotiva e ho quest’altra sfera da appagare attraverso il disegno, interpretando i testi, trovare una chiave di lettura” Ci mostra il retro della copertina “Questa pagina iniziale chiamata ‘risguardi’, potrebbe essere anche semplicemente bianca. Si tratta di pagina accessoria per tenere l’interno legato con la copertina, nell’albo illustrato possono confluirci significati ulteriori. In questa ultima storia di cui vi parlavo ho inventato questa texture con i fiori, elemento importante del racconto. Se si pone attenzione, ed in questo confido nei bambini, sfogliando il libro gli stessi fiori si ritrovano nel copricapo del nonno, poiché di lui oltre che della sua terra, il protagonista porta con sé il ricordo. Amo molto vedere i film, per questo. Sono convinta che un bravo regista semini significati interpretabili attraverso uno sguardo attento, ampliando attraverso altre letture il contenuto”.
E’ nato nella tua mente prima ancora di prender vita. Una volta completato il lavoro, per quanto tempo un personaggio viaggia ancora insieme a te tenendoti compagnia?
“Lo scrissi a Stefano Mariantoni, accadde per ‘Betto il cassonetto’ dopo due settimane ancora parlavo con i personaggi della storia! E lo stesso accadde con San Francesco quando dovetti ridisegnarlo per un nuovo progetto. Nel rivedere di nuovo quegli occhi ebbi come la sensazione di ritrovare un amico, ti tornano in mente le riflessioni della prima esperienza, emotivamente la più profonda, toccando corde diverse anche dal punto di vista spirituale e personale. E’ come fosse un amico, solo tuo”.
Tu, con la realizzazione di bomboniere, quadri, oggetti, entri anche nelle storie personali, familiari, sottolineando un momento felice, un traguardo, un evento.
“La creatività è a 360 gradi, mi piace sottolineare volti. Torno a nominare quella famosa zia così importante per me ‘Tu hai una grande sensibilità – diceva - e sai riconoscerla e tirarla fuori attraverso il disegno’ ed è vero. La mia narrazione visiva passa attraverso le emozioni, soffermandomi sui volti spesso attraverso un primo piano. Mi chiedono quindi ritratti di bimbi da cui poi nascono i ricordi di famiglia. Mi metto in ascolto di chi ho di fronte, che sia una comunicazione a livello di grafica, pubblicità, o un testo di favole: cerco di interpretare delle parole traducendole in immagini. Non sono un’artista con un mondo proprio da comunicare spontaneamente, ho piacere nell’essere guidata dalle informazioni che mi arrivano.”
Nelle donne soprattutto la creatività viene usata anche a scopo terapeutico. Scrivere, disegnare, può essere utile nell’affrontare momenti difficili: tu hai trovato in essa un aiuto?
“A me il foglio bianco fa paura ancora oggi, forse è un bene perché nulla è scontato e attiva un meccanismo. Ci sono state diverse situazioni in cui l’ho considerato un rifugio, non necessariamente dovevo tirare fuori il dolore ma semplicemente sconfinare in un altro mondo. Dopo due ore di concentrazione torni pronta ad affrontarlo in modo diverso. Il dolore era ancora lì, ma pensare ad altro era riuscito a farlo depositare”.
8 marzo 2022