di Massimo Palozzi - Mettiamo in fila i fatti. Mercoledì il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica presieduto dal prefetto, con la partecipazione dei vertici locali delle forze di polizia, del Comune e della Provincia di Rieti, si è occupato di vari temi all’ordine del giorno. Tra i più sensibili sicuramente la recrudescenza di furti nelle abitazioni o episodi isolati tipo la scomparsa di Silvia Cipriani, la 77enne ex postina di Cerchiara di cui si sono perse le tracce ormai dal 23 luglio. Tutti fatti che hanno portato a sottolineare la necessità di implementare sistemi articolati di videosorveglianza per garantire una più ampia copertura del territorio ed essere di ausilio alle forze di polizia nelle attività investigative.
Di telecamere da piazzare nei punti strategici di Rieti si parla da anni. Qualche passo avanti è stato compiuto ma non è ancora sufficiente. Pensare di monitorare h24 ogni angolo della città e della provincia è del resto obiettivamente irrealistico. Una diffusione più ampia dei servizi di sorveglianza da remoto costituirebbe comunque un valido ausilio sia alle indagini successive alla commissione di reati sia con finalità preventive, per dissuadere o quantomeno scoraggiare i malintenzionati dai loro intenti criminosi.
Una società da grande fratello orwelliano, con i suoi eccessi e con le sue storture, non è mai auspicabile, ma bisogna fare i conti con quello che ci circonda. A patto di chiarire portata ed efficacia della videosorveglianza.
In un’intervista concessa lunedì al Corriere di Rieti, il neo assessore all’Ambiente Giuliano Sanesi ha fatto il punto sull’arrivo di 56 cassonetti dei rifiuti “intelligenti” da dislocare nelle vie del centro dove attualmente non esiste la raccolta differenziata. Un’iniziativa pensata anche per porre fine al “vero e proprio scempio dovuto alla cosiddetta migrazione dei rifiuti”. E sì, perché finora non è stato possibile estendere la differenziata nel cuore antico di Rieti a causa di difficoltà logistiche che rendono complicata la raccolta ai mezzi dell’Asm. Di conseguenza, i secchioni di quelle vie e piazze sono utilizzati in maniera scorretta pure dai residenti di altri quartieri dove invece vige l’obbligo di selezionare l’immondizia. Il risultato sono cassonetti traboccanti di rifiuti portati da fuori, a danno dei residenti, dell’igiene pubblica, della salute di tutti e del decoro urbano delle aree più pregiate (e delicate) della città.
Il fenomeno è diffuso e di vecchia data. Per contrastarlo nel 2019 il Comune acquistò una fornitura di telecamere in dotazione alla Polizia Municipale proprio per potenziare il servizio di controllo sulle aree più a rischio. L’idea era stata stimolata dai buoni risultati ottenuti dall’applicazione del protocollo d’intesa stipulato con i Carabinieri Forestali, grazie al quale erano state individuate decine di trasgressori sanzionati per circa 600 euro ciascuno e con la pena accessoria di ripulitura dei siti.
A fine novembre lo stesso Comune informava con soddisfazione di aver elevato oltre 170 verbali ad altrettanti cittadini, una settantina dei quali responsabili dell’abbandono di rifiuti nell’ambiente in aree extraurbane e un centinaio beccati a gettare i rifiuti in centro storico pur essendo residenti altrove. La mossa non si è rivelata però risolutiva. A distanza di appena otto mesi lo scenario descritto dalla precedente amministrazione appare anzi addirittura capovolto, almeno a sentire l’assessore Sanesi che sul punto è stato lapidario: “le telecamere di videosorveglianza? Abbiamo visto che non funzionano perché il fenomeno della migrazione dei rifiuti in questi ultimi mesi è continuato nonostante i controlli costanti”.
Per tentare di porre fine a una situazione di degrado ormai intollerabile (“un’autentica piaga”) sono ora in arrivo i cassonetti intelligenti finanziati con i fondi del Pnrr. Potranno essere utilizzati solo dai residenti in possesso di una tessera con codice che permetterà di aprire il contenitore. Per inciso, i cassonetti costano tra i 15 e i 20mila euro l’uno, quindi l’importo complessivo si aggira intorno al milione. Naturalmente non si limitano a garantire l’apertura solo agli eventi diritto, ma svolgono un’azione di selezione dei rifiuti che supplisce in qualche misura alla raccolta differenziata che andrebbe effettuata a monte del conferimento.
Tornando alla questione di partenza, se il contributo delle telecamere è stato così scarso, viene il dubbio che sorte analoga possano avere quelle destinate al controllo del territorio per fatti di ben maggior gravità e allarme sociale. Occorrerebbe quindi capire se il fallimento della videosorveglianza denunciato dall’assessore all’Ambiente sia dovuto solo alla soverchiante inciviltà di un numero purtroppo elevato di concittadini, oppure alla inadeguatezza degli apparecchi e delle tecnologie utilizzate, alla scarsità di personale addetto o a un mix di tutte queste cause. Si tratta, è facile capirlo, di un dato imprescindibile nello sviluppo di un’affidabile rete di telecamere, anche alla luce della spregiudicatezza con cui agiscono ladri e spacciatori. A proposito dei quali, non può essere rubricato sotto la voce resoconto di ordinaria amministrazione il comunicato diffuso giovedì dalla Questura.
Dalla nota siamo infatti venuti a sapere che nei giorni scorsi la Polizia ha arrestato cinque cittadini nigeriani e denunciato in stato di libertà altri due loro connazionali. Di quelli finiti in carcere, quattro erano destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale di Rieti e uno è stato colto in flagranza di reato.
Le indagini, coordinate dalla procura della Repubblica, hanno preso avvio a febbraio quando una pattuglia era intervenuta per sedare una lite in strada tra due cittadini stranieri a San Francesco, scoppiata proprio per debiti non saldati per la vendita di droga. Da lì gli investigatori della Polizia di Stato sono risaliti a un appartamento nel vicino vicolo San Bernardino, trasformato in una vera e propria centrale di spaccio con i pusher impegnati a rifornire i clienti principalmente a piazza San Francesco, lungo l’argine del fiume Velino e nelle traverse di via Garibaldi muovendosi in bicicletta e con la merce trasportata in bocca.
Dall’appartamento di vicolo San Bernardino i poliziotti sono poi risaliti a un‘altra abitazione in piazza della Repubblica, anch’essa adibita a centrale di spaccio e gestita da un nigeriano pluripregiudicato, già coinvolto nell’operazione “Angelo Nero” che due anni fa aveva permesso di sgominare una banda di trafficanti africani, in maggioranza nigeriani.
La ricostruzione dell’attività dei cinque arrestati ha consentito di stimare la cessione ad assuntori reatini, tra cui molti giovani, di oltre 1.200 dosi di eroina, 20 di cocaina e 60 di marjuana per un valore complessivo ipotizzabile in oltre 25mila euro.
Senza entrare nel merito dei risvolti processuali della vicenda, balza agli occhi l’importanza di una notizia capace di suscitare due reazioni opposte: da una parte l’enorme preoccupazione per un fenomeno all’apparenza irrefrenabile e sempre più degenerato, dall’altro il sollievo per una controffensiva massiccia da parte di magistratura e forze dell’ordine, che in un mondo ideale dovrebbe portare all’eradicazione totale di simili condotte. Sarà difficile che ciò accada, ma è fondamentale mandare segnali in senso contrario alla diffusa sensazione di impunità avvertita non solo dai cittadini ma anche dagli stessi malviventi, la cui impudenza è spesso sorretta proprio dalla scarsa incisività delle misure di prevenzione e contrasto.
Diciamo che, nello specifico, non ci sarebbe stato nemmeno troppo bisogno di telecamere per seguire i percorsi dei molti immigrati che pedalano per Rieti. Così come non si affida alla tecnologia, ma a una bella esposizione di oggetti contraffatti, la prima delle iniziative prese a seguito della sottoscrizione lo scorso 25 gennaio del protocollo d’intesa tra Comune di Rieti e Agenzia delle dogane e monopoli per il contrasto alla vendita di prodotti contraffatti o recanti indicazioni false o ingannevoli sulla loro origine, provenienza ed effettiva qualità. Giovedì il sindaco Daniele Sinibaldi e il direttore dell’Agenzia per il Lazio e l’Abruzzo Davide Miggiano hanno presentato la vetrina allestita con la merce sequestrata, una sorta di memento per gli incauti acquirenti a tutela del “made in Italy”.
Il messaggio è ovviamente rivolto ai consumatori, invitati a rifuggire dalla tentazione di comprare oggetti farlocchi a pochi spiccioli. Anche le orecchie di qualche commerciante troppo disinvolto dovrebbero però fischiare. Non sempre, infatti, sono i clienti a voler fare i furbi. Cronache locali non troppo lontane ci hanno raccontato episodi ben poco edificanti di merce taroccata venduta per autentica in negozi all’apparenza insospettabili. E lì non ci sono telecamere che tengano.
07–08-2022