di Massimo Palozzi - Mercoledì l’onorevole Fabio Melilli ha scritto una lettera al Commissario straordinario per la Salaria Fulvio Soccodato, in relazione ai disagi causati dalla rotatoria di Borgo Santa Maria da poco realizzata sulla Salaria per Roma. L’iniziativa del parlamentare ha subito raccolto la solidarietà del Pd reatino e fa seguito alle numerose lamentele sollevate in particolare dai pendolari e dai sindaci della Sabina, fotografando una realtà nella quale un intervento a lungo atteso per fluidificare il traffico e aumentare le condizioni di sicurezza della circolazione si è rivelato l’esatto contrario: un tappo che finisce per creare code e rallentamenti. Insomma, il problema risolto più a valle con l’eliminazione del semaforo a Passo Corese grazie a una rotatoria di dimensioni adeguate, è stato semplicemente spostato di qualche chilometro a monte, con esiti pressoché uguali.
“Come sai” - scrive Melilli a Soccodato - “insieme alla Regione abbiamo insistito molto negli anni passati perché si realizzasse la rotatoria di Passo Corese al fine di evitare le lunghe code che si formavano a causa del semaforo. L’opera ha realmente migliorato i flussi di traffico, agevolando soprattutto i rientri a Roma nel fine settimana. Ora è veramente paradossale che la realizzazione dell’angusta rotatoria di Borgo Santa Maria invece di migliorare il transito lo rallenti, vanificando il prezioso lavoro della rotatoria di Passo Corese. Ti prego di occuparti della questione al fine di individuare tutte le soluzioni possibili, anche di modifica dell’opera” - conclude Melilli, annunciando un analogo passo nei prossimi giorni presso i vertici dell’Anas e presso il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini.
Come e quando il Commissario intenderà recepire la sollecitazione è presto per dirlo. Non lo è invece per constatare l’inadeguatezza della nuova rotatoria in fatto di dimensioni e distribuzione degli spazi tra l’anello percorribile da auto, bus e camion e lo spartitraffico centrale. Di sicuro i rapporti tra le varie componenti rispondono a criteri oggettivi. È probabile che la parte viabile sia stata lasciata stretta per mantenere la stessa capacità ricettiva della consolare sia in entrata che in uscita. Resta il fatto che così non funziona e che un intervento sulla carta migliorativo si sta rivelando fonte di criticità ben maggiori di quelle che avrebbe dovuto sistemare.
L’aggettivo “angusta” utilizzato da Melilli sintetizza perfettamente la carenza progettuale. Una rotatoria angusta suona come un ossimoro, ma è la migliore definizione per descrivere un’infrastruttura nata male e finita peggio. L’Anas dovrebbe quindi spiegare in maniera chiara e trasparente i motivi di una rotatoria costruita seguendo canoni per lo meno discutibili. Al limite per dimostrare che meglio di così non si poteva fare e che le difficoltà riscontrate dagli utenti sono il male minore. In tutta sincerità viene da dubitarne, ma non è possibile continuare ad assistere a un simile stillicidio di inefficienze ed errori senza alcuna assunzione di responsabilità.
Il caso infatti non è isolato. Di cose fatte male Rieti e provincia sono piene. Per rimanere in argomento, l’arzigogolo in forma di rotatoria realizzato sei mesi fa all’incrocio tra via Angelo Maria Ricci e viale de Juliis sembra nato dalla mente di un folletto dispettoso per complicare la vita agli autisti e ai residenti. L’idea di partenza era meritevole: eliminare il semaforo che causava lunghe code soprattutto su via Ricci verso Quattro Strade. All’inizio lo si è semplicemente spento e in effetti il traffico defluiva con regolarità. Poi il colpo di genio della rotatoria con chicane e pennellate di vernice verde, assai difficile da percorrere e ancor più da comprendere per concedere le giuste precedenze. A completare il quadro la chicca di una strozzatura nella quale i mezzi più grandi sono costretti a manovre improbabili e ad invadere la corsia opposta in direzione centro con grave pericolo per l’incolumità di autisti, pedoni e ciclisti. Risultato: come sulla Salaria, il traffico è peggio di prima. A quel punto meglio il semaforo spento, almeno era tutto più lineare.
Sempre a proprio di Anas, una menzione speciale la meritano le gallerie di Colle Giardino a San Giovanni Reatino. Lunghe 4 chilometri e mezzo, sono le seconde per estensione del centro Italia, se si escludono quelle autostradali. La loro storia è esemplare delle lungaggini e inefficienze di molte opere pubbliche nazionali. Il progetto nasce nel 1990 come parte dell’agognato raddoppio della Salaria e nel 1992 l’appalto venne aggiudicato a una ditta che finì però invischiata in Tangentopoli. Il contratto fu rescisso e i lavori affidati a una nuova impresa in grado di riaprire il cantiere solo nel 1996. Nel frattempo l’esproprio di un casale aveva determinato l’avvio di un’indagine da parte della Procura della Repubblica, poi archiviata.
Lo scavo del traforo venne completato nel 1996. Seguì una nuova gara per l’allestimento interno dei tunnel (asfaltatura, illuminazione e segnaletica) con l’assegnazione dell’incarico a dicembre 1999. Dopo tredici anni di lavori e un costo complessivo di 71,4 milioni di euro, finalmente si giunse all’inaugurazione il 25 luglio 2003.
Da allora non sono passati nemmeno vent’anni ma le gallerie di San Giovanni Reatino si sono rivelate una fonte continua di disagi per gli automobilisti. Tra il 2012 e il 2014 sono state chiuse al traffico a canne alternate per lavori di irreggimentazione delle acque che, infiltrandosi dalla soprastante falda, avevano rapidamente rovinato il manto stradale. L’intervento ha risolto solo in parte il problema (che evidentemente doveva essere eliminato in fase progettuale) e in diverse occasioni, specialmente in caso di pioggia, si sono verificati allagamenti. Non di rado sono rimaste al buio e se tutto questo non bastasse, lo scorso luglio sono stati avviati gli ennesimi lavori di manutenzione e ammodernamento con una nuova chiusura delle gallerie per altri due anni sempre in modo alternato a cominciare da quella in entrata a Rieti, che da dieci mesi è dunque nuovamente impercorribile. Davvero un bel curriculum.
Nella lista di cose fatte male un posto d’onore lo merita poi senz’altro il sottopasso di via Fundania, troppo basso per bus e mezzi pesanti. Anche in questo caso una spiegazione logica per realizzarlo in cotal maniera ci sarà pure stata, ma certo si rimane sconcertati di fronte a un’opera dalle specifiche tecniche così palesemente inidonee ai compiti da svolgere. E non è un dettaglio trascurabile che nell’ampio dibattito sulla soppressione dei passaggi a livello, uno dei punti principali sia proprio l’adeguamento del sottopasso vicino alla Questura.
Per concludere la carrellata (ma solo per mancanza di spazio, non di spunti) un pensiero lo merita pure il sottopasso di via Velinia, teatro di frequenti allagamenti e relativi interventi di consolidamento, il cui fornice è basso al punto che qualche camion ha finito più volte per rimanerci incastrato. A parziale giustificazione della scarsa efficienza dell’infrastruttura parla la sua storia. L’attuale rilevato nacque in realtà con tutt’altra funzione. Quando nel 1883 fu inaugurata la ferrovia, serviva infatti da diga per contenere il Velino durante le ricorrenti inondazioni. Solo in seguito alla creazione dei bacini del Salto e del Turano, alla fine degli anni Trenta del Novecento, venne aperta una luce al di sotto dei binari per far defluire le acque trasformandolo in strada. Si capiscono allora le dimensioni ridotte e la scarsa propensione allo smaltimento idrico. La battuta viene però facile: in questi quasi 140 anni di acqua sotto i ponti ne è passata, eppure non c’è verso di avere opere pienamente funzionali e di durata ragionevolmente lunga.
22_05_22