di Massimo Palozzi - La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti: un assessore per Rieti! Il punto forte della campagna elettorale del centrodestra sul territorio continua ad essere l’appassionata rivendicazione di un posto in giunta per un rappresentante della provincia. Al punto che la questione dirimente è non il se, bensì a quale dei principali partiti della coalizione tocchi l’agognato posto in giunta.
Di sicuro risulta un argomento convincente per almeno lenire la sindrome di Calimero che, molto spesso a ragione, affligge il reatino medio. La sottorappresentatività di Rieti sia a livello regionale che nazionale è un dato di fatto consolidato nella storia politica delle nostre parti. Non a caso solo rare figure ormai quasi mitologiche vengono ricordate (sempre meno, per la verità. Il trascorrere del tempo è implacabile) per i loro meriti in assenza di una continuità a tutela degli interessi della comunità locale. Da Malfatti in poi i nomi da iscrivere nel pantheon dei “grandi” sono davvero pochi. E non per mancanza di talenti o di impegno personale e politico. Sugli scranni istituzionali si sono succeduti in tanti, qualcuno anche con discreto successo. Il problema è la scarsa incisività di una provincia nata a tavolino nel 1927 aggregando territori spesso slegati tra loro, comunque piccola e schiacciata dallo strapotere di Roma in una regione dove il peso della Capitale è assolutamente preponderante.
Il centrodestra fiuta l’aria e pregusta una facile vittoria il 13 febbraio. Stando ai sondaggi, in effetti non ci dovrebbe essere partita. Dopo i due mandati consecutivi di Nicola Zingaretti, per il centrosinistra le speranze di una conferma sono ridotte al lumicino. Il candidato alla presidenza è stato imposto senza il rito delle primarie, puntando su una figura come Alessio D’Amato che da assessore alla Sanità non ha demeritato nella gestione della pandemia, ma che d’altro canto rappresenta il vertice regionale di un comparto in enorme sofferenza. Scegliendo lui, una parte del centrosinistra si è avventurato su un campo minato. Perché è vero che il Lazio durante l’emergenza Covid si è comportato assai meglio di altre Regioni più blasonate, ma sono altrettanto evidenti le inefficienze e le inadeguatezze del sistema sanitario pubblico. Se a un reatino medio si ponesse la domanda secca: sei soddisfatto della sanità locale? la risposta con ogni probabilità sarebbe negativa. E questo nonostante l’appassionata autodifesa del direttore generale della Asl Marinella D’Innocenzo che lunedì ha annunciato a sorpresa di andare in pensione dal primo febbraio, rinunciando a quasi un anno del suo secondo mandato che sarebbe scaduto a fine 2023. Dei successi rivendicati dalla dg uscente, uno colpisce per la sua ambivalenza: “vado fiera del fatto che abbiamo ridotto del 25% la migrazione passiva ospedaliera, è il dato più alto in Italia”, ha dichiarato la manager mercoledì nel corso dell’incontro di saluto all’azienda e alla città. Messa così non fa una piega. Ma portato alle estreme conseguenze il ragionamento restituisce un quadro opposto, perché ridurre del 25% la mobilità passiva, cioè il numero di persone che per scelta o per necessità si vanno a curare al di fuori delle strutture pubbliche reatine, significa un livello altissimo e del tutto inaccettabile di questo dato.
La mossa di candidare D’Amato è stata quindi parecchio azzardata, anche in virtù di un profilo politico all’apparenza contraddittorio: marcatamente di sinistra come origini, riceve pesanti critiche proprio da quell’area, mentre annovera come primo sponsor Carlo Calenda che lo appoggia formalmente con il Terzo polo centrista allestito insieme a Matteo Renzi.
Il (reciproco) rifiuto di allearsi con il Movimento 5 stelle, che corre praticamente in solitaria con la giornalista televisiva ed ex presidente del Wwf Donatella Bianchi, è poi un ulteriore motivo di conforto per lo sfidante Francesco Rocca. Presidente fino a pochi giorni fa della Croce rossa italiana, Rocca è stato scelto dal centrodestra come esponente della cosiddetta “società civile” per evitare strappi all’interno di una coalizione dove gli appetiti aumentano di ora in ora in previsione del trionfo elettorale. Lo scranno di presidente della Regione è del resto solo una delle caselle da riempire dopo il responso delle urne. Da occupare c’è un’ampia serie di posti di governo e sottogoverno su cui hanno posato gli occhi in tanti.
In quest’ottica rientra l’ossessiva campagna del polo conservatore verso la scelta di un assessore reatino. Se la legge elettorale consentirà l’elezione di un solo consigliere sabino, al neogovernatore spetterà infatti comporre una squadra con il bilancino per scontentare il meno possibile tutti i commensali nel rispetto di gerarchie, visibilità per aree geografiche e valori ponderali assegnati dal voto.
La circostanza induce a due riflessioni: la prima è che l’insistenza sul riconoscimento di un assessore a Rieti denuncia involontariamente il fatto che una cosa che dovrebbe essere scontata, in realtà non lo è affatto. Se non la legge, almeno il buon senso dovrebbe imporre di dare rappresentatività nell’esecutivo a ciascuna delle province e quindi non se ne dovrebbe nemmeno parlare (altro discorso è l’assegnazione a questo o quel partito della maggioranza, ma si tratta di questioni interne ai vincitori).
L’altro spunto riguarda invece la disputa sull’assessore locale come se Rieti finora non lo avesse mai avuto e si trattasse di una innovazione da promettere agli elettori. Senza risalire al democristiano Gianni Antonini ai tempi della Prima Repubblica (correvano gli anni 1992-93), con Claudio Di Berardino oggi Rieti esprime già l’assessore a Lavoro, Scuola e Ricostruzione. E nella scorsa consiliatura in giunta c’era Fabio Refrigeri, con deleghe a Infrastrutture, Politiche abitative e Ambiente (materia quest’ultima sostituita in seguito con gli Enti locali).
Sul versante opposto, nel tempo la destra reatina ha piazzato nell’esecutivo regionale autorevolissimi esponenti: Luigi Ciaramelletti, assessore a Cultura, Spettacolo, Sport e Turismo nei primi anni Duemila con Storace presidente. A seguire Gabriella Sentinelli, scomparsa due anni fa, assessore a Istruzione e Politiche giovanili dal 2010 al 2013 nella giunta guidata da Renata Polverini, prima del taglio deciso dalla stessa Polverini per ridurre il numero degli assessorati e i relativi costi. In quella stessa giunta, evidentemente poco propizia per i portacolori reatini, aveva fatto una fugace apparizione anche l’ex sindaco Antonio Cicchetti, assessore alla Cultura e all’Istruzione per soli due mesi, da aprile a giugno 2010, e subito rimosso per far posto a un esponente dell’Udc in ossequio a un accordo politico precedentemente sottoscritto.
Insomma, negli anni Duemila, ad eccezione del mandato di Piero Marrazzo e l’interim di Esterino Montino dopo le sue dimissioni nel quinquennio 2005 - 2010, Rieti ha sempre avuto un assessore. E ci mancherebbe altro, verrebbe da dire. Per questo suona abbastanza stonato che i rappresentanti dei vari schieramenti facciano ancora campagna elettorale sbandierando quella che viene percepita come una concessione e non come un diritto-dovere nei confronti di una delle cinque province del Lazio.
29–01-2023