(di Ileana Tozzi) A margine dell’incontro con Franco Cardini, non possiamo che ripercorrere le nostre antiche strade osservano con rinnovato interesse il reticolo delle cordonate medievali che s’interseca e si sovrappone all’ordinato, implacabile assetto ortogonale dell’urbs romana. L’impronta stessa della città ci racconta il secolo d’oro che fu il Duecento, quando i papi con la loro corte erano di stanza in città.
Innocenzo III era stato il primo pontefice ad avere residenza stabile a Rieti, dal luglio all’agosto del 1198, primo anno del suo pontificato; Onorio III vi trascorse i mesi estivi del 1219, dal luglio all’ottobre, e di nuovo vi risiedé dal mese di giugno 1225 al febbraio 1226.
Gregorio IX fu a Rieti nei mesi di aprile-maggio 1228, per un intero anno dal maggio 1231 al maggio 1232, dal maggio all’agosto 1234, infine dal luglio all’ottobre 1236.
Questi pontefici utilizzarono come residenza il palazzo vescovile, adiacente alla cattedrale ricostruita e fundamentis nel corso del XII secolo e consacrata da Onorio III il 9 settembre 1225.
Si trattava di un palazzetto a due piani, secondo la descrizione che ne da nei suoi Dialogi San Gregorio magno. Ne rimane traccia significativa nella casa-torre dell’episcopio adiacente al maestoso arco di Bonifacio, affacciata sul popoloso rione delle Valli, negli anni passati sottoposta ad un radicale interveto di consolidamento.
Il palazzo papale fu eretto tra il 1283 e il 1288, al tempo del vescovo Pietro Gerra e del podestà Guglielmo da Orvieto, promotori dell’impegnativa costruzione affidata all’architetto Andrea magister.
già nel 1289 papa Niccolò IV, il francescano Girolamo Masci da Ascoli, vi poté accogliere la delegazione presente alla cerimonia di incoronazione di Carlo II d’Anjou re di Sicilia e di Gerusalemme.
Dieci anni più tardi, il violento terremoto del 30 novembre 1298 che raggiunse l’intensità del 10° grado della scala Mercalli indusse papa Bonifacio VIII ad intraprendere la costruzione del solido arco a doppia crociera, affiancato lungo il lato meridionale da una volta a botte nei cui peducci sono inclusi gli stemmi di casa Caetani.
Il trasferimento della sede pontificia ad Avignone e, al rientro in Italia, il definitivo insediamento a Roma fecero sì che il severo palazzo reatino fosse utilizzato dai vescovi che nel corso dei secoli successivi decisero il riassetto e provvidero a modificarne almeno in parte le strutture: ma la decorazione pittorica delle pareti della vasta aula delle udienze, in cui erano affrescati gli antichi stemmi pontifici accanto alle armi dei vescovi e dei cardinali incaricati di reggere la diocesi reatina, rimase sostanzialmente integra fino alla metà del XIX secolo, quando al tempo della Repubblica Romana il palazzo fu requisito da Giuseppe Garibaldi che vi acquartierò le sue camicie rosse dal febbraio all’aprile 1849. Durante la loro permanenza a Rieti, i novantadue volontari devastarono la grande sala che li ospitava, sovrapponendo scritti salaci e disegni osceni alle immagini araldiche del primo registro. Pochi mesi più tardi, le pareti dell’ampio salone furono scialbate per ordine del vescovo Gaetano Carletti che, entrato in Diocesi dopo la fine della Repubblica Romana, trovò l’edificio devastato dalla violenza anticlericale dei volontari al seguito di Garibaldi e non trovò alcuna altra vantaggiosa soluzione nell’immediatezza degli eventi.