a cura di Massimo Palozzi

Novembre 2022

IL DOMENICALE

AMMINISTRAZIONE CREATIVA

amministrazione, politica, storia, terminillo

di Massimo Palozzi - Giovedì si è chiusa a Bergamo l’Assemblea nazionale di Anci (Associazione nazionale dei Comuni italiani), alla quale ha partecipato anche il sindaco di Rieti Daniele Sinibaldi. L’assise ha rappresentato un importante momento di confronto tra gli amministratori locali con interlocutori qualificati, suggellato dalla formulazione di proposte di modifiche legislative per rendere più agile ed efficace il lavoro delle giunte e dei consigli comunali. A cominciare dal definitivo superamento della cosiddetta paura della firma. Di quel fenomeno, cioè, che spinge amministratori e dirigenti a non assumersi la titolarità o a ritardare al massimo l’adozione di atti per evitare di doverne rispondere in sede penale o contabile.

“I Comuni sono il perno del Paese e da essi passa anche il rilancio complessivo della Nazione”, ha commentato a caldo Sinibaldi. “Custodiscono le specificità italiane, l’identità più profonda, le relazioni più autentiche e continuano ad essere il primo e più riconoscibile contatto istituzionale per larghe fasce di popolazione. Certo, gli enti locali e i Comuni in primis non possono essere lasciati soli nelle sfide complicatissime che abbiamo di fronte, a partire dalla concreta attuazione del Pnrr che ora ha bisogno di produrre realmente i suoi effetti nell’economia e nella vita dei cittadini. Questo potrà essere possibile solo attraverso una semplificazione normativa e un quadro amministrativo e burocratico più veloce e snello, in grado anche di rivisitare vincoli e rigidità che hanno ostacolato lo sviluppo negli ultimi anni”.

Parole assolutamente condivisibili, se non riecheggiassero quelle pronunciate da generazioni di amministratori locali, come se il tempo si fosse fermato e il progresso managerial-normativo che pure ha interessato la pubblica amministrazione italiana non avesse mosso un passo. Ovviamente non per colpa di Sinibaldi, che fa il suo e dice cose di buon senso, ma in un panorama complessivo di impegni disattesi e occasioni perdute che a volte induce a un rassegnato pessimismo.

In attesa di soluzioni più o meno miracolistiche da parte dei livelli superiori dell’apparato statale, la storia locale ci soccorre con il ricordo di iniziative curiose ma in qualche misura meritevoli di attenzione, se non altro sul piano della creatività.

In un bell’articolo pubblicato giovedì sul Messaggero, lo storico aquilano Enrico Cavalli ripercorre le tappe dell’antico (e non sempre facile) rapporto della sua città con il Reatino, auspicandone un rapido riallaccio in senso maggiormente strutturato.

“Oltre il riferimento ai centri storici sabini di Teora e Amiternum, come alla rivalità tra Rieti e la conurbazione aquilana in età medievale per controllare la via degli Abruzzi” - scrive Cavalli - “risalendo a epoche molto più vicine, fu Fabio Canella, il sindaco di Aquila all’atto dell’Unità, a perorare l’ingresso dell’Alto Reatino nella provincia dell’Antico Abruzzo Ulteriore”. Un’aspettativa andata invece disattesa a causa delle rivalità tra i gerarchi abruzzesi e definitivamente archiviata con la creazione il 2 gennaio 1927 delle province di Rieti e Pescara. A seguito di quella riforma l’ex Circondario di Cittaducale finì in territorio reatino, con la curiosa circostanza di rimanere invece nell’Archidiocesi aquilana almeno fino al 1976.

Agli inizi degli anni Settanta, ricorda ancora Cavalli, il democristiano Luciano Fabiani arrivò perfino a concepire una macroarea chiamata “Regione Sabina”, dando concretezza progettuale a una proposta destinata tuttavia a rimanere sulla carta per il disinteresse, se non addirittura l’opposizione, della politica aquilana ben poco propensa e gettare lo sguardo verso la confinante propaggine reatina.

Se quel seme non germogliò, non si perse comunque del tutto nel vento. Grazie anche ad un colpo di fantasia amministrativa. “Dalla constatazione di questa difficile situazione nelle regioni di appartenenza, nacque l’idea di tenere periodiche riunioni congiunte dei consigli comunali di Rieti e L’Aquila, presieduti dai rispettivi sindaci Augusto Giovannelli e Tullio De Rubeis per implementare collegamenti infrastrutturali, ricchezze turistico-culturali, attività sportive e soprattutto lo sviluppo industriale a fronte dei poli elettronici di primissimo livello europeo”.

Alla metà degli anni Ottanta l’asse Rieti-L’Aquila fece addirittura parlare di un’area “intermetropolitana” senza sbocchi al mare, che avrebbe dovuto inglobare Avezzano e Sulmona, entrambe tuttavia contrarie perché interessate alla costituzione di una loro provincia.

“La “questione sabina” passò dalle ipotesi di sedi distaccate nel Reatino dell’Univaq (l’Università dell’Aquila, ndr) al periodico secessionismo di Leonessa, Antrodoco, Cittaducale, al ruolo di Amatrice, anch’essa rivendicativa di ritorno nell’Abruzzo”, insiste lo studioso, rammaricandosi per come “diverse occasioni dello sviluppo integrato dell’area aquilana e sabina potevano derivare dagli agganci alle rotte stradali e ferroviarie per Roma e il nord, trascurandosi l’indotto socioeconomico della L’Aquila-Amatrice, come di un bacino sciistico di livello europeo perché potenzialmente annoverante il Terminillo, Gran Sasso, Altopiano delle Rocche e Maiella”.

Ed ecco il punto. Mai come in questo frangente storico l’“amministrazione creativa” messa in campo quarant’anni fa con i consigli comunali congiunti potrebbe supplire all’assenza di risorse nel cercare di fare sistema con le realtà circostanti. Non necessariamente insieme all’Aquila, s’intende. Con Viterbo, ad esempio, l’assetto istituzionale trascende già la semplice cooperazione (vedasi Archivio notarile e Camera di Commercio unificati). Nel recente passato qualche timido approccio è stato tentato con Terni e magari varrebbe la pena insistere.

Se non sulle grandi prospettive, un confronto con il capoluogo abruzzese sarebbe stato comunque utile prima di finire nell’assurdo cul de sac in cui si è messo il Comune di Rieti con la questione degli impianti di risalita del Terminillo. Si tratta di una vicenda dai contorni grotteschi: nell’immediata vigilia della stagione invernale, le concessioni rilasciate in proroga l’anno scorso alla società Funivia sono scadute (a proposito di visione e capacità programmatorie). Una quindicina di giorni fa l’amministrazione ha quindi sondato la disponibilità del vecchio gestore a farsi ancora carico temporaneamente della conduzione degli impianti, in attesa della definizione della gara a suo tempo bandita.

La risposta è stata una controproposta molto furba: invece di provvedere autonomamente, la società Funivia cederebbe in affitto le piste e gli impianti allo stesso Comune che a sua volta li darebbe in gestione ad Asm, cioè all’azienda mista pubblico-privato che si occupa di trattamento dei rifiuti e di trasporto urbano, materie di nessuna attinenza con l’esercizio di strutture montane (a proposito di amministrazione creativa). Il presidente della municipalizzata si è detto disponibile. Con quali competenze non è però dato sapere.

 

27–11-2022

 

 

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