di Andrea Carotti – “Quando un uomo col fucile incontra un uomo con la pistola, quello con la pistola è un uomo morto». A sessanta anni dalla sua prima uscita, è tornata nelle sale italiane una vera pietra miliare dell’arte, nel tempo scolpita sul cuore delle persone e che ha generato istantanee audiovisive indimenticabili da conservare nell’archivio più prezioso della mente. Sergio Leone guarda “La Sfida del Samurai” di Akira Kurosawa e, affascinato dai samurai del film, trasfigura i loro comportamenti sopra le righe e li immerge nel west. Lo stile comprende un linguaggio estremo e barocco, in questo senso decisive sono le musiche del Maestro Morricone ma è anche un’opera che spezza i tabù dell’epoca: il codice Hays stabiliva che non si poteva mostrare il cowboy che sparava e quello che moriva nella stessa scena. Leone infranse questa regola anche perché non ne sapeva nulla. L’effetto sul pubblico di queste scene fu di grande impatto come lo furono l’aspetto barbuto e sporco degli attori e ogni tipo di eccesso sadico, le torture, le ferite e i primi piani sanguinolenti. La componente politica è ancora quasi subliminale nonostante quando spiegano al personaggio di Clint Eastwood che in paese ci sono due famiglie di “padroni” la battuta “devo ancora trovare un posto in cui non ci siano padroni”, suoni molto sessantottina. La messa in crisi della famiglia, l’etica in declino, l’annichilimento del nucleo familiare innervano il cuore della vicenda fino al rovinoso ma spettacolare finale. L’opera si sospende però, quando il buono (distruttore di famiglie) salva e mette in fuga dalla prigionia la famiglia par excellence e si crea un meraviglioso momento di equilibrio tra buio e luce. Ciotta e Silvestri sul personaggio di Eastwood “non si era mai visto un pistolero che agisse per il proprio benessere e tornaconto.
Che si mettesse al primo posto senza farsi coinvolgere dai problemi degli altri se non a suo vantaggio. È forse un ritorno ai blocchi di partenza, per ricominciare con un altro progetto politico gestito dal basso, egualitario per davvero?”
Ma ora passiamo all’opera da cui Leone trae l’ispirazione per poi più avanti farne i conti e scontare le accuse di plagio. Un samurai sconosciuto arriva in un paese insanguinato dalla lotta tra due bande rivali e vende i suoi servizi, alternativamente, ora all’uno ora all’altro dei due contendenti, fino alla distruzione totale di tutti e al ristabilimento della pace. Kurosawa con Yojimbo, noto anche come La guardia del corpo (Kasdan lo omaggia nella sceneggiatura del film con Kevin Costner) si offre decisamente verso degli scenari western, anche se certamente l’ambientazione rimane quella del Giappone del periodo Edo con il trionfo di Tokugawa leyasu. La sfida del samurai è duro e crudele ma anche ironico e divertente. Kurosawa è uno dei maggiori umanisti del cinema.
Tecnico raffinatissimo: robusto come un contadino, misurato come un samurai. È evidente sin dall’inizio il carattere di “parabola” della storia, con lo straniero senza nome che arriva, approfittando della situazione di faida in corso, e fa esplodere la miccia già accesa nel paese. Sanjuro, è un personaggio cinico e crudele, approfittatore del caos in cerca di denaro. L’operato risulta qualcosa di più dell’iniziale “commercio molto redditizio”.
E proprio quando il samurai si darà da fare per aiutare una giovane donna rapita, e quindi emergerà il suo nascosto animo da vero cavaliere, si ritroverà catturato e torturato da una delle due bande.
Solo allora la sua battaglia uscirà fuori dalla “logica del commercio”, per diventare qualcosa di personale e assoluto, fino al ristabilimento finale della pace.