di Domenico Di Cesare – In questa puntata scriviamo di Campoloniano, il cui toponimo richiama, in facile etimologia, Campo Lugnano (Campus Lugnani?) e, in effetti, la zona di recente urbanizzazione – come il bel verde di un tempo – che accompagna la salita al Terminillo, è ben visibile dal paese di Lugnano. Lugnano (Lucinae Fanum, dal vicino tempio sacro alla dea Juno Lucina) è stato per lungo tempo un centro importante nella zona di Rieti. Le origini del paese vanno fatte risalire al VI secolo, quando le tribù dell’antica Vazia romana (secondo lo stemma impresso nell’antica Chiesa Badiale di Santa Croce, il paese prese il nome di Unianus, essendo l’unione dei superstiti dell’antica Vazia, riuniti a formare il nuovo centro) lo fondarono sulla viva roccia di un colle alle pendici del Terminillo, ed ebbe il suo periodo più fiorente nel basso Medioevo. La borgata originaria di Lugnano probabilmente l’attuale paese di Cupaello, collegato a Lugnano dall’antichissima “Via Maestra”. Del: «castellum quod nominatur Lunianun», citato a partire dal secolo XI, non restano che pochi tratti di mura e alcune case. L’antico borgo si presentava simile alla rappresentazione che se ne fa in un affresco di una sala del Palazzo Vescovile di Cittaducale, dove il paese di Lugnano è dipinto unitamente a un distico latino, che dice: «Prole gigantea Lugnanum nobile dicor non temet hostiles gens animosa minas». Nel 1252 Lugnano venne annesso al Regno di Napoli; nel 1309, unitamente a Lisciano, Categne, Petescia e Cantalice, collaborò per costruire il secondo quartiere della nuova città angioina di Cittaducale: quello di Santa Croce. E’ di quel periodo anche il Convento di S. Rocco, nella parte alta di Lugnano. La cittadina fu poi ceduta al Re di Napoli Carlo D’Angiò, per salvaguardare i suoi abitanti dalle rappresaglie dei banditi, che infestavano quei territori montani. Questo fu il tempo migliore di Lugnano, come prova la galleria dei Musei Vaticani dove sono dipinte le antiche regioni d’Italia: osservando la regione Sabina, accanto alle torri e alle mura di Rieti e Cittaducale, ci sono quelle di Lugnano. Non deve stupire quindi che Carlo D’Angiò, visitando il feudo di Lugnano, regalò alla popolazione la statuina della “Madonna del Fiore”: l’opera, rara e pregiatissima, è una scultura ricavata da una zanna di elefante, dove è rappresentata la Vergine con il Bambino e un fiore nella mano. Lugnano conserva ancora molti caratteri dell’età d’oro: le case sono quasi tutte in pietra, come anche gli archi secolari e i vicoli a gradini. Tornando al nuovo quartiere di Campoloniano, dove chi scrive ha vissuto, percorrendo la lunga via Sandro Pertini, che lo taglia in due, sarebbe bello vedere nel mezzo della strada degli alberi o delle siepi al posto di asfalto e cemento, come ai suoi lati, i marciapiedi e le aiuole meriterebbero maggiore cura, magari istallando ai piedi di qualche lampione dei piccoli contenitori di plastica, per depositare gli escrementi di cani, abbandonati e nauseanti. Di certo queste migliorie non si vedranno da Lugnano, ma anche i nostri avi ne apprezzerebbero il senso (civico e di comunità).